E intanto cresce un nuovo schiavismo

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capora

Noi barricati in casa, intenti a barattare la libertà con la salute, e intanto prende piede un nuovo schiavismo; a domicilio, a norma di covid, ma di entità davvero inquietante. Premetto, sono tra quelli che videro con interesse e con speranza il diffondersi, a causa della pandemia, dello smart working. Al di là dei disagi e dei problemi che innesca, mi parve una svolta interessante che può anche migliorare la vita di milioni di persone. Può essere un ritorno a casa, in famiglia, in provincia, a sud, con implicazioni assai importanti. Certo, sconvolge assetti ed economie, penalizza un sistema commerciale costruito sul lavoro in ufficio e concentrato nei grandi centri; crea disagi se in casa ci sono più persone collegate da casa; ma se diventasse strutturale per una parte di lavoratori e di aziende, potrebbe rivitalizzare mondi esausti, ripopolare paesi abbandonati, rianimare circuiti domestici, rapporti di prossimità e relazioni famigliari da tempo logorati. Meno concentrazione urbana, case e vita a più basso costo, meno traffico, meno tempo passato nei trasporti, possibilità di essere più presenti nel proprio ambito vitale, recuperando anche la qualità della vita.

Quindi nessun pregiudizio contro lo smart working; semmai qualche perplessità sull’efficacia dell’impiego pubblico da casa, e molta perplessità sulla Dad a scuola, che può valere solo per un periodo eccezionale. Per le aziende, poi, meno costi, niente mensa, spese di sede e di transfer, ritardi o assenze; magari ottenendo buoni risultati nel rendimento. Per i dipendenti, a loro volta, a parte alcuni scompensi gravi, di socializzazione sul lavoro e di mobilità, ma nel complesso una svolta che disegna scenari interessanti.

Accade invece, e lo dico per esperienze di varie persone conosciute, di ogni età e di ogni livello professionale, che lo smart working stia diventando per molti un sistema di sfruttamento senza precedenti. Saltano i limiti d’orario, salta la distinzione tra tempo di lavoro e tempo libero; salta la privacy e l’inviolabilità della vita famigliare. I tempi di impegno sono di circa dodici ore al giorno, con un paio di brevi pause, e talvolta sconfinano nei festivi, o vanno oltre la sera; me lo ripetono in tanti, ragazzi sotto e oltre i trent’anni, e anche ultracinquantenni da trent’anni in azienda. Il potere “contrattuale” dei dipendenti è ridotto ai minimi termini, anche perché ciascuno è solo nei confronti dell’azienda. Il timore della disoccupazione è tanto, la paura degli effetti del covid ha ammansito tutti; la speranza che si tratti solo di una brutta parentesi fa il resto. Chi impone la necessità di sforzi straordinari, di riunioni o call fuori orario se non addirittura notturne, è un manager che a sua volta si dice obbligato dai vertici dell’azienda, che solitamente si perdono nell’ignoto, spesso fuori d’Italia.

Schiavi di un tiranno senza volto, un moloch insaziabile. E la tirannide si estende a ogni tipo di rapporto lavorativo: da quello consolidato di veterani dell’azienda a quello novizio e precario, dai dirigenti ai neo-assunti. E riguarda tanti stagisti, che rimangono tali anche al termine dello stage, grazie al sistema delle scatole cinesi, passando in carico da una società all’altra, sfruttati con lo stesso ingaggio da fame.

Degenerano i rapporti familiari, vengono trascurati i ruoli paterni o materni; languono i frigoriferi, perché si diradano perfino le possibilità di fare la spesa, e i piccoli varchi liberi rimasti vengono usati per ricaricarsi, per fare sport, per prendere aria, farsi una passeggiata, restrizioni permettendo, magari per portare il cane fuori.

Anche senza zona rossa sono impossibili i pur minimi incontri serali, visto il rientro a casa entro le 22 col lavoro che si protrae fino alle 21; e di conseguenza l’impossibilità di andare dai genitori, se non nei festivi quando magari vorrebbero fare altro, coltivare un minimo sindacale di socialità e di amicizia… Sono esasperati, serpeggiano malesseri che cercano con difficoltà di organizzarsi, nella clandestinità, nelle pieghe della vita domestica, vista l’impossibilità d’incontrarsi. Il coraggio, a una certa ora, di staccare la spina…

Abbiamo due gravi problemi davanti agli occhi: da una parte il covid colpisce ancora, e i vaccini vacillano tra mille contraddizioni, incognite e disfunzioni ma sono l’unica ancora a cui aggrapparsi. Dall’altra le aziende chiuse o in crisi, con i dipendenti in cassa integrazione o potenziali licenziati appena sarà possibile farlo; una crisi economica gigantesca.

Ma oltre questi due problemi, sta sorgendo un terzo, nascosto dagli altri due, che rischia di protrarsi ben oltre l’ormai cronica emergenza che stiamo vivendo: il lavoratore ridotto a schiavo, costretto a stare sempre a disposizione, costretto a sacrificare ogni spazio di libertà, compresso in un sistema totalitario.

E in tutto questo c’è chi rinnova il contratto ai navigator, i nullafacenti di stato a norma di legge; e i redditi di cittadinanza, sapendo che non servono per trovare lavoro ma per sostituire il lavoro con l’assistenza di stato… Rischiamo di entrare in una società per metà statalizzata nel senso peggiore della parola e per metà in ostaggio di aziende private, magari multinazionali, che sfruttano come non succedeva dai tempi del primo capitalismo. Un centauro mostruoso che trasforma il Welfare state in stato assistenziale per i primi (e per i migranti) e in stato di schiavitù per i secondi. E nel mezzo quanti, pensionati, lavoratori indipendenti e piccoli proprietari, aspettano con muto terrore che la mannaia si abbatta su di loro per compensare gli squilibri di questa situazione. Benvenuti nell’era dello smart-schiaving (ibrido in lingua anglo-spartacus), dove la schiavitù è come Amazon, arriva direttamente a casa tua.                                                                                                                                                                  Marcello Veneziani