Economia: come studiarla, dove e per chi di Domenico Siniscalco

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Tratto da “ Lessico Finanziario “ di Beppe Ghisolfi – ARAGNO Editore
(Legale Rappresentante di Morgan Stanley Bank International)

Capita spesso che amici e conoscenti mi domandino dove investire i propri soldi. Invariabilmente rispondo che la scelta migliore è quella di investire sull’educazione dei propri figli. La domanda successiva è dove mandarli a studiare, e qui la storia si complica.
Sino a pochi anni fa, l’education avveniva quasi esclusivamente nelle aule universitarie, dove maestri più o meno bravi insegnavano contenuti, normalmente all’interno di precisi perimetri disciplinari. Lo studio, sui libri in biblioteca, e le discussioni con i compagni completavano il percorso. Oggi, grazie alle nuove tecnologie, i luoghi dell’apprendimento sono molto cambiati. I contenuti si trovano tutti e al massimo livello online. Sarà sempre più vero che le lezioni dei migliori professori saranno disponibili per tutti. In biblioteca si va raramente, perché tutti i testi ormai si trovano su internet. Si studia ovunque. Mentre in aula questi contenuti vengono soltanto discussi criticamente con i professori e con i compagni. Una visione superficiale di questi cambiamenti potrebbe far pensare che, a questo punto, i grandi professori diventano superflui. Questa conclusione è sbagliatissima e ignora la distinzione tra informazione e conoscenza. Per essere un medico non basta comprare un’enciclopedia medica. Bisogna studiarla, capirla e provare ad applicarla. E questa analogia si applica a ogni disciplina, a partire dalle materie economiche.
Qual è il ruolo, allora, di una grande scuola e di un grande professore? Spiegare cosa leggere e come studiare; insegnare a navigare la letteratura; stabilire le connessioni tra materie e soggetti, e indicare le implicazioni con il mondo reale. È sempre stato così, ma con l’au- mentato flusso di informazioni e contenuti questo ruolo è sempre più fondamentale.
La conoscenza, si è detto, procede per polarità e per analogia, per paralleli e contrari. E nulla è mai troppo evidente. Per questo l’idea stessa di università è fondamentale, e per questo i grandi studiosi escono prevalen- temente da grandi Università, vere proprie officine di talent e occasioni di contaminazioni tra saperi. Quanto detto sin qui si applica particolarmente allo studio dell’economia. Negli ultimi quarant’anni l’econo- mia politica ha subito un processo di fortissima specializzazione e assiomatizzazione. Un argomento economico non deducibile da principi primi (razionalità e massimizzazione) e non traducibile in forma matematica non ha piu dignità scientifica. E se realtà e modelli divergono, peggio per la realtà. Si è cosi dimenticato che l’economia è una scienza sociale, che la realtà è in perenne evoluzione e l’economia, con le sue formalità, non può diventare una camicia di forza. In parallelo l’economia politica è stata via via abbandonata a vantaggio di una scienza economica tout court. E in questo modo essa ha peso di rilevanza politica, giornalistica, e nella vita reale. Il primo sintomo di queste deviazioni è stata la teoria della crescita economica: da grande problema degli economisti classici, essa è stata relegata ad argomento marginale, essenzialmente per le difficoltà di spiegarla entro gli schemi analitici dominanti tagliati su misura per i problemi allocativi. Ma ci è voluta la grande crisi del 2007 per conclamare la sterilità dei paradigmi dominanti.
La grande crisi da cui stiamo uscendo è sicuramente la più grave ed estesa da quella del 1929. Iniziata nell’agosto del 2007 essa ha devastato il sistema finanziario e le economie reali con pesanti ripercussioni sul lavoro e sulla ricchezza. Se vi è stato un limite efficace alla capitolazione dei mercati, questo è venuto dalle Banche Centrali, che hanno affrontato pragmaticamente la crisi sulla base dell’esperienza degli anni Trenta, trascurando i risultati teorici dell’ortodossia monetarista. Grazie alle politiche monetarie “non convenzionali”, la grande crisi non si è trasformata in grande depressione.di fronte a questi fenomeni, gli economisti (con pochissime eccezioni) non hanno visto l’arrivo della crisi e non hanno prodotto risposte in grado di affrontare la crisi. E ci è voluta la Regina Elisabetta per domandare, provocatoriamente, a una riunione di economisti alla London School of Economics nel 2008, come mai nessuno avesse visto l’arrivo del disastro. Da allora, naturalmente, il quadro è cambiato e le più grandi Università del mondo stanno abbandonando l’iper-specializzazione nella ricerca e soprattutto nell’in- segnamento, a vantaggio di programmi misti e multidi- sciplinari. Così a Oxford è nato il PPE (Filosofia, Politica e Economia), a Cambridge un analogo programma di Scienze sociali, a Harvard si studia di nuovo Economia Politica, o Economia e Governo, mentre Stanford è il regno dei programmi congiunti (tecnologia e media, tecnologia ed economia, tecnologia e design), alla Bocconi si studiano in unico corso discipline economiche e sociali e così via. In ciascuno di questi programmi grandi professori e grandi testimonial, come Steve Jobs a Stanford, o Mark Zuckerberg a Harvard hanno presentato punti di vista unici, che per fortuna ritroviamo oggi facilmente su You Tube.
Superando per un attimo la logica delle carriere accademiche, che seguono spesso sentieri propri, vorrei parlare ora a chi si attrezza per il mondo del lavoro. In questo mondo la battaglia tra imprese, banche e operatori di ogni genere per accaparrarsi i migliori talenti sarà sempre più accesa. E tutti cercheranno diversità di ogni tipo. Chi sceglie oggi un’Università deve tener conto che le incertezze e le disruption del futuro richiederanno preparazioni multiple e spesso non convenzionali. Che una buona Business School è spesso meglio di un corso in economia. Che un anno passato nella Silicon Valley oppure in Cina sarà probabilmente meglio di una sfilza di 30 e lode nell’Università sotto casa, non importa quanto buona. Il che non significa rinunciare al rigore in quello che si studia, ma mantenere la mente aperta e la curiosità assai viva per paralleli e connessioni non immediatamente intuitive. Investire su sé stessi. Nel mondo d’oggi ha senso assicurarsi contro i cambiamenti con una preparazione che consenta di reinventarsi, tenendo conto che “il futuro non è più quello di una volta”. E conta, naturalmente, un po’ di fortuna. Le grandi Università tipicamente sono molto selettive nelle ammissioni, si tratti di Business School o di scuole di economia. Operata una scelta occorre scrivere una domanda molto persuasiva, che mostri determinazione, convinzione e originalità. Occorre scegliere atenei ortodossi e anche meno convenzionali. E sperare di riuscire a segnalarsi in modo ideale.