Sono questi i dati che, con riferimento previsionale a tutto il 2023, emergono da una accurata ricerca condotta dallo studio Temporary manager, società specializzata nelle attività di ricerca, selezione e reclutamento di personale di alto livello manageriale a favore delle PMI
Le decisioni della presidente della BCE, Christine Lagarde, di ribadire una politica di elevati tassi di riferimento, con l’obiettivo di scoraggiare l’inflazione sia domestica che importata – quest’ultima destinata a riaccendersi dopo la decisione dei Paesi Opec di ridurre la produzione giornaliera di barili di petrolio – stanno esercitando il proprio impatto sia sulla liquidità circolante, pur essendo ancora piuttosto distante il ritorno al fatidico due per cento del trattato di Maastricht, sia sul costo del denaro: tradotto più schiettamente, sul costo dei finanziamenti di cui le aziende hanno necessità per sopperire a fondi cassa sotto pressione e per evitare la sospensione produttiva in una fase di PIL in crescita oltre le stesse caute attese governative.
La venuta meno dei classici aiuti a fondo perduto, sostituiti da interventi in conto interessi o da strumenti di rafforzamento del sistema delle garanzie pubbliche reali, unita a una maggiore incidenza delle attività dello Stato per il recupero maggiorato di somme corrispondenti a presunti crediti tributari verso i settori privati, ha prodotto come risultato una crescita del debito addizionale a quello pubblico.
Parliamo della complessiva esposizione debitoria delle aziende, che ha raggiunto oramai i 750 miliardi di euro di stock aggregato: una grandezza impressionante, a partire dalla quale originano interessi passivi che lo studio di Temporary manager quantifica, in relazione all’anno corrente, in 35 miliardi, vale a dire 15 miliardi in più di oneri finanziari al confronto con l’esercizio annuale 2022.
Le Regioni dove il rincaro dei tassi di riferimento impatterà in misura sensibilmente maggiore sono quelle che evidenziano le più consistenti concentrazioni di attività e filiere economiche: a partire dalla Lombardia, su cui graveranno oltre dieci miliardi di oneri finanziari, 4,3 miliardi in più sullo scorso anno, seguita a pari merito dal Lazio e dall’Emilia Romagna (in entrambi i casi, gli interessi passivi sono stimati in 3,7 miliardi in aumento di un miliardo e mezzo), quindi dal Veneto, le cui imprese dovranno sborsare anch’esse un miliardo e mezzo in più per un totale di 3,5.
Al quinto posto di questa triste classifica si colloca il Piemonte, sul cui sistema aziendale diffuso graveranno due miliardi e mezzo, corrispondente a un miliardo in più in dodici mesi.
Numeri difficilmente sostenibili a livello sia macro che microeconomico, e che originano dai provvedimenti che, in pieno shock pandemico, avevano avviato la spirale del ricorso all’indebitamento agevolato come alternativa al fondo perduto.
Quindi non si può dire che le conseguenze non sarebbero state prevedibili.
“L’aumento dei tassi, soprattutto l’ultimo di 50 punti base effettuato a marzo 2023, è assolutamente ingiustificato visto il calo dell’inflazione su base mensile nella prima parte del 2023. Con molta probabilità avrà un forte impatto sugli oneri finanziari, anche triplicando gli stessi su base annua, con un effetto particolarmente pesante sia per le aziende italiane, contraddistinte da una dimensione ridotta, da una scarsa capitalizzazione e da un forte ricorso al debito, sia per i consumatori domestici e per tutto il sistema finanziario”, afferma Roberto La Caria, amministratore delegato di Studio Temporary Manager: “Paradossalmente, saranno le realtà produttive virtuose, quelle che disponevano di maggiori spazi di indebitamento per poter investire cogliendo le opportunità di leggi vigenti come industria 4.0, a patire le conseguenze maggiori, soprattutto nel caso in cui i tassi di riferimento restassero al 3 e mezzo per cento di fronte a un saggio di inflazione in calo a ritmi percentualmente più robusti”.
Dir politico Alessandro ZORGNIOTTI




