“Forza Virginia, avanti tutta”. “Il Movimento 5 Stelle resiste con te”

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Non è dato sapere se quelle di Vito Crimi e Luigi Di Maio siano “parole di circostanza”, come lasciato intendere da Virginia Raggi alla sua uscita da Palazzo di Giustizia. Fatto sta che non ci sono più dubbi: l’assoluzione in Corte d’appello spiana la strada alla sindaca uscente verso la ricandidatura a Roma sotto la bandiera pentastellata.
“Nonostante il M5S”, ripetono dal Campidoglio, fra sorrisi e brindisi. Mentre il Pd passerà probabilmente i prossimi due mesi a guardarsi intorno, schiacciato fra la fuga dei big, le ambizioni dei “sette nani” della politica locale e l’interventismo di Carlo Calenda, lanciato verso la corsa solitaria. Sono bastati pochi secondi, ieri mattina, a cestinare mesi di reciproco corteggiamento fra le diplomazie di Pd e M5S, che immaginavano di replicare nella corsa in Campidoglio l’attuale schema governativo, nonostante la presenza di Virginia.
La sentenza pronunciata dal giudice Antonio Lo Surdo ha restituito la definitiva solidità alla sindaca, in campo già dall’estate. Una forza tale da spingerla ad attaccare il partito che la dovrà sostenere. Le prime parole di ringraziamento, infatti, Virginia Raggi le ha riservate a “me stessa”, al “mio staff” e alle “persone che mi sono state vicine”. Poi si è scagliata contro chi “con parole di circostanza” vuole “provare a salire sul carro del vincitore” dopo “questi quattro lunghi anni di solitudine politica”.
Crede, Virginia, “che debbano riflettere in tanti, anche e soprattutto all’interno del M5S”. Frasi che non sono passate inosservate e che hanno generato fastidio, come trapela dai vertici del Movimento. Che però hanno le mani legate, in quanto qualsiasi altra soluzione sarà agli occhi degli elettori “ingiustificata e ingiustificabile”. “Chiudete er ponte d’Ariccia”, ha commentato beffardamente ieri Alessandro Di Battista, in calce a un post dove parlava di “fuoco amico partito da chi non sarà mai alla sua altezza, ma non vuole accettarlo”.
Pur turandosi il naso, almeno il M5S a Roma ha un candidato forte e riconoscibile. Sono gli altri che brancolano nel buio. A iniziare dal Partito democratico. Ieri Nicola Zingaretti è intervenuto molto tardi, dopo le 18 e solo per dire che “sono contento che Virginia Raggi sia riuscita a dimostrare la propria estraneità ai fatti contestati”. La valutazione politica viene lasciata al segretario romano, Andrea Casu, secondo cui “per noi non cambia nulla” in quanto “il malgoverno della sindaca è sotto gli occhi del mondo”. “Andiamo avanti con l’alternativa”, dice Marco Miccoli, vicinissimo al segretario dem. Ma quale? Il tavolo di coalizione cittadino è fermo, gli esponenti locali e i presidenti di municipio pronti a candidarsi chiedono le primarie, ma programmarle a febbraio, nel bel mezzo di una possibile terza ondata Covid, sarebbe inopportuno. Anche per Carlo Calenda, che si è alzato giorni fa dal tavolo e rimane sulla sua posizione del “chi mi ama mi segua”.
Mentre c’è chi ritiene che, in extrema ratio, Nicola Zingaretti sarà costretto a “sporcarsi le mani” in prima persona.
Non sta messo meglio il centrodestra. “Ora Raggi e più forte, si scelga bene il candidato”, avverte il senatore Francesco Giro. Guido Bertolaso è sempre il favorito, ma la partita non è chiusa e, comunque, a destra si va dichiaratamente col manuale Cencelli. È probabile che anche qui si deciderà tutto all’anno nuovo.