Francesco: nelle prove della vita chi sta stretto a Dio ritrova speranza

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Ricordando nella Messa in San Pietro i 17 cardinali e i 191 arcivescovi e vescovi deceduti nel corso dell’anno, in diversi a causa del Covid, il Papa invita a guardare le avversità con occhi diversi: nell’angoscia del nonsenso, Dio si avvicina per salvare

Tiziana Campisi – Città del Vaticano

Nelle prove e nelle difficoltà “è importante imparare l’arte di attendere il Signore. Aspettarlo docilmente e fiduciosamente”, raccomanda Papa Francesco nell’omelia pronunciata questa mattina nella Basilica Vaticana, durante la Messa presieduta in suffragio dei cardinali e vescovi defunti nel corso dell’anno, alcuni dei quali “morti a causa del Covid-19, in situazioni difficili che hanno aggravato la sofferenza”. Il Pontefice articola la sua riflessione sulla fiducia in Dio che per maturare necessita di “una lunga trasformazione interiore, che attraverso il crogiolo della sofferenza, porta a saper attendere in silenzio”, con pazienza fiduciosa e animo mite. (Ascolta il servizio con la voce del Papa)

È così che ci si prepara all’ultima e più grande prova della vita, la morte. Ma prima ci sono le prove del momento, c’è la croce che abbiamo adesso, e per la quale chiediamo al Signore la grazia di saper aspettare lì, proprio lì, la sua salvezza che viene.

La presenza di Dio nei momenti più bui

Ma ognuno di noi, avverte il Papa, ha bisogno di maturare in questo. “Davanti alle difficoltà e ai problemi della vita – prosegue Francesco – è difficile avere pazienza e rimanere sereni. Serpeggia l’irritazione e spesso arriva lo sconforto. Può così capitare di essere fortemente tentati dal pessimismo e dalla rassegnazione, di vedere tutto nero, di abituarsi a toni sfiduciati e lamentosi”. E accade pure che “nemmeno i bei ricordi del passato riescono a consolare, perché l’afflizione porta la mente a soffermarsi sui momenti difficili”, sicché l’amarezza cresce e la vita appare come una catena continua di sventure.

A questo punto, però, il Signore imprime una svolta, proprio nel momento in cui, pur continuando a dialogare con Lui, sembra di toccare il fondo. Nell’abisso, nell’angoscia del nonsenso, Dio si avvicina per salvare: in quel momento. E quando l’amarezza raggiunge il culmine, all’improvviso rifiorisce la speranza.

Il dolore un mistero da guardare con gli occhi della speranza

Francesco spiega inoltre che nel vivo del dolore, chi sta stretto al Signore vede la sofferenza dischiudersi. Dio la trasforma in una porta attraverso la quale entra la speranza. Se la prosperità spesso rende ciechi, superficiali e orgogliosi, sottolinea il Papa, il passaggio attraverso la prova, vissuto nella fede, “malgrado la sua durezza e le lacrime fa sì che noi rinasciamo, e ci ritroviamo diversi rispetto al passato”. Perché la prova rinnova, “fa cadere molte scorie e insegna a guardare oltre, al di là del buio, a toccare con mano che il Signore salva davvero e che ha il potere”, aggiunge il Pontefice, “di trasformare tutto, perfino la morte. E se il dolore resta un mistero, osserva Francesco, proprio in tale mistero è possibile scoprire “in modo nuovo la paternità di Dio che ci visita nella prova”, perché nel dolore Dio accompagna “come un padre che fa crescere bene il figlio standogli vicino nelle difficoltà senza sostituirsi a lui”. Allora “davanti al mistero della morte redenta” c’è da chiedere “la grazia di guardare con occhi diversi le avversità”

Chiediamo la forza di saperle abitare nel silenzio mite e fiducioso che attende la salvezza del Signore, senza lamentarci, senza brontolare, senza lasciarci rattristare. Ciò che sembra un castigo, si rivelerà una grazia, una nuova dimostrazione dell’amore di Dio per noi. Saper attendere in silenzio, senza chiacchiericci: in silenzio, la salvezza del Signore è un’arte, è sulla strada della santità. Coltiviamola.

L’arte di attendere Dio

Il Papa rimarca, poi, che l’arte di attendere Dio, proprio in questo tempo che stiamo vivendo, è ancora più preziosa e che occorre “che ognuno testimoni con la vita la fede, che è attesa docile e speranzosa” ed evidenzia inoltre che “il cristiano non sminuisce la gravità della sofferenza”, “alza lo sguardo al Signore”, nella prova confida in Lui e prega per chi soffre, “tiene gli occhi al Cielo, ma ha le mani sempre protese in terra, per servire concretamente il prossimo”. Infine Francesco, conclude la sua omelia rivolgendo ancora un pensiero ai cardinali e ai vescovi scomparsi nell’anno trascorso, perché possano assaporare la gioia del Regno dei Cieli.