Giovani, perché non vi ribellate?

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L’Italia non è un paese per giovani. Lo sappiamo da tanto tempo e ce lo ripetiamo in continuazione

Per i giovani l’ottimismo della volontà dovrebbe essere quasi obbligatorio, anche se il Covid-19 ha tolto loro, se non la vita, come a tanti nonni, la socialità, il piacere di studiare insieme, vedersi, ballare, stare uno vicino all’altro, e anche per questo sono accorsi in massa a farci vaccinare. Eppure l’Italia non è un paese per giovani già da molto tempo.

Una minoranza in un Paese invecchiato

I giovani, ormai, sono una minoranza in un paese invecchiato che non fa più bambini, perché i figli sono diventati un “lusso” per le giovani coppie, sempre più precarie, con pochi servizi, quasi abbandonate dallo stato, che pensa di risolvere tutto con un po’ di soldi per ogni figlio. Figli che curiamo, grazie alla sanità pubblica, facciamo studiare, grazie alla scuola pubblica, spesso con ottimi risultati e un notevole investimento, ma poi lasciamo andare ad arricchire, con il loro talento, energia, conoscenza, le economie degli altri. E il lavoro, quando c’è, è quasi sempre precario, sotto pagato e “flessibile”, ma per niente “smart”. E così, tra chiacchiere e distintivi, continuiamo a non essere un paese per giovani.

Come se non bastasse, negli ultimi cinquant’anni abbiamo violentato il clima, la Terra si è arroventata e ghiacciai millenari si sono ridotti a rigagnoli. E per finire, almeno noi in Italia, abbiamo accumulato un enorme debito pubblico, diventato mostruoso dopo il Covid-19, caricato sulle spalle dei nostri figli, nipoti e pronipoti.

Poi arriva una modesta proposta. Tassiamo la successione dei grandi patrimoni – l’1% della popolazione – e usiamo questi soldi per dare una “eredità” diffusa a milioni di giovani, che così potranno investire, almeno un po’, sul proprio futuro. Ma parlare di tasse, in un paese che si sente “tartassato” e che ha il record mondiale di evasione fiscale, significa esporsi al martirio politico e mediatico.

La tassa di successione fu ridotta dal governo Amato nel 2000 e del tutto eliminata – indovinate perché- da Berlusconi nel 2001, per essere reintrodotta da Prodi, con quote minime, nel 2006. Adesso il neo segretario del Pd, Enrico Letta, ha rilanciato la proposta di una tassa di successione, il 20% solo per i grandi patrimoni che superano i 5 milioni di euro, per dare una “dote” di 10.000 euro a tutti i giovani, al superamento del diciottesimo anno di età. Apriti cielo e in un battibaleno il Pd ha perso un paio di punti nei sondaggi.

Se i giovani restano in silenzio

Eppure, l’Italia, su questo fronte, incassa una cifra quasi irrisoria, 820 milioni di euro, a fronte dei 14 miliardi in Francia e vari miliardi in Germania, Regno Unito e Spagna. Tutti paesi europei avanzati, dove nessuno si sogna di parlare di “espropriazione forzata” da parte dello stato. Anche il presidente Draghi, interrogato sulla questione, ha risposto con una battuta che rassomiglia a uno slogan: “Questo non è il momento di prendere i soldi dai cittadini, ma di darli”.

Bene, bravo. E la solidarietà di chi può, tantissimo, nei confronti di chi non può quasi nulla, come un’intera generazione di giovani? Pazienza. Invece, un imprenditore come Riccardo Illy, che appartiene ad una famiglia che conosce bene l’etica del lavoro e della responsabilità, senza dimenticare la solidarietà, ritiene che “le eredità troppo alte siano diseducative”. E anche Bill Gates ha ammesso: “Sono troppo ricco, dovrei pagare più tasse”. E poi cosa c’entra il “ceto medio”, che ha lavorato, risparmiato ed ha comprato una casa per sé e per i propri figli, con l’1% super ricco, che ha almeno un patrimonio di 5 milioni di euro, pari agli antichi 10 miliardi di lire? Mistero politico e mediatico.

Anche i giovani – su questo argomento – sono rimasti silenziosi, forse distratti da altri problemi, forse scettici sul fatto che possa arrivare davvero una “dote” del genere. Tutto prevedibile, compreso il tonfo nei sondaggi del Pd, ma nessuno si lamenti che l’Italia non è un paese per giovani. Evidentemente è proprio così che ci piace.

Di Franco Del Campo