Giovanni Sabatini, Direttore Generale di ABI

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giovanni sabatini

Tratto da “ Banchieri “ di Beppe Ghisolfi – ARAGNO Editore
Nato a Roma il 22 dicembre 1959.

Pescocostanzo. La mia biografia comincia con il nome di un piccolo centro situato nell’appennino aquilano, nella zona degli altopiani maggiori d’Abruzzo. Un paese in cui non sono nato ma in cui affondano profonde le radici della mia famiglia e quei valori etici, culturali e professionali che hanno guidato la mia vita. È anche il luogo che mi ha fatto conoscere le montagne, imparare ad amare l’escursionismo, l’alpinismo e lo sci in tutte le sue forme. Nasco a Roma il 22 dicembre del 1959, da una famiglia abruzzese. Mia madre Elisa Pittoni-Pansa, di Sulmona, laureata in Scienze politiche, che volontariamente, appena sposata, sceglie di lasciare il lavoro e di dedicarsi alla famiglia. Mio padre Giuseppe, di Pescocostanzo, era medico, cardiologo e internista, attività cui si dedicherà per oltre cinquanta anni con grande dedizione e passione. Le due famiglie materna e paterna condividono, oltre all’origine abruzzese, una lunga tradizione nell’esercizio delle arti liberali: molti miei antenati furono, da entrambe le parti, notai, architetti, medici, avvocati. Le accomunano però soprattutto le figure del mio bisnonno materno, Giovanni Pansa, e di mio nonno paterno, Gaetano Sabatini. Entrambi incarnano perfettamente la figura del medico umanista, così caratteristica della provincia italiana tra la seconda metà dell’ottocento e la prima metà del novecento. Giovanni Pansa, numismatico, collezionista legò il suo nome ad importanti ricerche relative a superstizioni e miti abruzzesi. I suoi due volumi “Miti e leggende e superstizioni d’Abruzzo” sono ritenuti ancora oggi fondamentali per gli studi etnografici regionali. Mio nonno Gaetano, prima medico condotto in vari paesi abruzzesi, poi storico e bibliofilo a tempo pieno. Arricchisce la biblioteca di famiglia fino a farla diventare una tra le più importanti biblioteche private abruzzesi con oltre 25.000 volumi tra cui incunaboli, cinquecentine, seicentine e 280 pergamene manoscritte e miniate. La biblioteca di nonno Gaetano viene però travolta dalla furia della guerra insieme con la nostra casa. I violenti combattimenti, che si svolsero nel 1944 lungo la linea Gustav, non risparmiarono i paesi abruzzesi, molti dei quali furono minati e distrutti, nella logica della “terra bruciata”, dalle truppe tedesche in ritirata che si macchiarono anche di crimini orrendi come la strage di Pietransieri, una piccola frazione a pochi chilometri da Pescocostanzo. Le memorie della guerra sono vive in me, non solo per i racconti di mio padre, ma per le tracce ancora ben visibili nella nostra casa, come le iscrizioni in tedesco tracciate con il gesso sulle porte delle cantine conservate a memoria e a monito di tanta follia bellica. Ma proprio queste vicende, i racconti, i segni della guerra hanno contribuito a far crescere e maturare in me la consapevolezza dell’importanza del progetto europeo, ben al di là del semplice fatto economico. Il trattato di Roma, di cui abbiamo festeggiato i sessanta anni in un clima e in un contesto molto diversi e lontani dagli entusiasmi con cui fu firmato, nasceva dalla volontà dei paesi firmatari di dare all’Europa un futuro diverso, di pace e di prosperità. Questi erano i pensieri che mi vennero in mente quando fui nominato membro del Comitato per l’Euro in rappresentanza della CONSOB e che mi rendevano orgoglioso di poter in qualche modo apportare il mio contributo al processo di integrazione europea. Ma la vicenda di mio nonno Gaetano e della sua biblioteca ha avuto per me altri significati e altre lezioni. Alla fine della guerra, infatti, mio nonno ormai settantenne (era nato nel 1868!) di fronte alla sua dimora danneggiata e saccheggiata, e soprattutto alla sua biblioteca sconvolta e dispersa, non si perse d’animo. Nelle sale dove un tempo le pareti erano coperte di scaffalature cariche di libri appese un cartello “Colligite quae superaverunt fragmenta ne pereant (Gv. 6, 12)” e, dove altri si sarebbe lasciati andare alla disperazione, con santa pazienza e tenacia cominciò a recuperare il recuperabile tra le macerie della casa, ordinando frammenti di pagine, fascicoli e fogli sparsi in pacchetti, su cui scriveva con grafia minuta, grazie anche a una memoria lucida e ferrea, a quale volume appartenessero, l’oggetto e gli altri elementi che ne avrebbero consentito poi una catalogazione. Dunque non arrendersi di fronte alle difficoltà della vita, non cedere alla disperazione e alla rassegnazione inetta ma agire, insistere, con la forza e la tenacia della ragione e della volontà. Ecco un’altra lezione di cui avrei fatto tesoro nel corso della mia vita e della mia esperienza professionale. Ho studiato presso i marianisti, nel Collegio S. Maria, a Roma in Viale Manzoni. Dalla prima elementare al terzo liceo classico i miei studi sono proseguiti all’ombra dei glicini centenari che si abbarbicavano alle facciate interne, agli archi del cortile del “Santa”, il nome con cui chiamavamo la nostra scuola. In quei cortili e nel bel campo di calcio, vanto della scuola, non ho però mai imparato a giocare a pallone né sono riuscito a “tifare” per una squadra di calcio. Ho trascorso così tutti i tredici anni dei tre cicli scolastici, appassionandomi negli anni del liceo soprattutto alla storia, alla filosofia, alla storia dell’arte e allo studio di Dante. Della filosofia mi affascinava la capacità di elaborare idee, costruzioni logiche senza un riferimento a fatti derivati dall’esperienza empirica. I concetti di anima, immortalità, di idea non sono riscontrabili in natura eppure già i primi filosofi greci li elaboravano, dando vita a cattedrali del pensiero di fronte alle quali rimanevo ammirato, stupito e soprattutto desideroso di penetrarvi, di riuscire a non smarrirmi trovando il bandolo che mi avrebbe portato a comprendere l’essenza di quella teoria. Naturale quindi il mio interesse anche per lo studio della Divina Commedia, una grandiosa costruzione del pensiero umano. Fin dalle medie mi aveva incuriosito e stimolato anche perché mio padre mi regalava una moneta da 500 lire d’argento (quelle monete grandi con le tre caravelle di Cristoforo Colombo che a me sembravano uscite dal forziere del tesoro!) per ogni canto dell’Inferno fossi riuscito a imparare a memoria. Ottengo il diploma di maturità classica con la votazione di 58/60, una piccola delusione non prendere il massimo dei voti, ma pienamente meritata. Avrei dovuto studiare di più, ma gli ultimi mesi del terzo liceo erano stati indimenticabili, tra gite al mare o ai castelli romani in sella alla motocicletta dei miei amici (i miei genitori si rifiutarono sempre di comprarmi un motorino, nè tanto meno una moto!). Dopo la maturità non avevo una precisa idea di cosa avrei voluto fare. Dentro di me sognavo di fare il maestro di sci e… il meccanico. Per i miei 19 anni mi era stata regalata una Renault4 che avevo imparato a smontare e aggiustare nei lunghi pomeriggi di fine settimana nella casa di campagna dei miei genitori. Poi, rassegnato a prendere una laurea, avevo immaginato che avrei potuto seguire le tradizioni di famiglia e iscrivermi alla facoltà di Medicina. Ma mio padre, fortemente critico sulle prospettive della professione medica in Italia, mi scoraggiò dall’intraprendere quella strada. Così una mattina mi mostrò un articolo che dava la notizia della trasformazione della vecchia università romana Pro Deo, una nuo- va realtà promossa dalla Confindustria con l’obiettivo di avere a Roma un polo universitario in grado di competere con la Bocconi di Milano, la Libera Università Internazionale degli Studi Sociali o LUISS. Così feci i test di ingresso e li superai, iscrivendomi alla Facoltà di Economia e Commercio. Il primo anno non fu troppo brillante: il tempo trascorso a sciare nei mesi invernali sopravanzava notevolmente quello dedicato allo studio, così come di sera, invece di curvare la schiena, sui libri passavo il tempo ad allenarmi in palestra avendo scoperto una passione per le arti marziali e per il karatè. I risultati furono all’altezza delle aspettative, non riuscii a superare un esame con un voto superiore a ventisei. Tuttavia dal secondo anno, grazie ad alcuni professori di grande esperienza e di approccio estremamente pratico, cominciai ad appassionarmi alle materie aziendali e alla finanza. I risultati migliorarono rapidamente così come il mio interesse per lo studio e l’approfondimento di temi di analisi finanziaria, analisi dei costi, controllo di gestione, tecnica bancaria. Mi laureai con una tesi di finanza aziendale dal titolo “La struttura finanziaria e il valore di mercato delle imprese”, dove approfondivo i teoremi di Modigliani e Miller sull’indifferenza della struttura del capitale e delle politiche finanziarie (politica dei dividendi) sul valore delle imprese. La tesi fu apprezzata e, nonostante una media non elevatissima, mi laureai con lode nel luglio 1983. Soddisfatto del risultato, cercai di ottenere una borsa di studio per andare a specializzarmi all’estero, ma i miei entusiasmi furono gelati quando un professore di economia, amico dei miei genitori al quale mi ero rivolto per ricevere alcuni consigli, mi disse “con questa tesi non hai nessuna possibilità di vincere una borsa di studio. Lo sanno tutti che solo i cretini si occupano di finanza. Avresti dovuto fare una bella tesi su argomenti di economia reale”. In effetti il momento non era dei migliori per presentarmi con una tesi come la mia. Nel 1981 si era verificato un catastrofico crollo della borsa, legato anche alle vicende del Banco Ambrosiano, durante il quale si dovette sospendere per tre giorni le negoziazioni e gli echi di quel disastro erano ancora vividi anche per le dimissioni dell’allora Presidente della CONSOB, Guido Rossi. Rinunciai così alla specializzazione all’estero e, delle numerose offerte di impiego ricevute, accettai quella dell’ICCREA perché mi prospettava un lavoro nel loro settore di amministrazione e finanza. Il primo giorno di lavoro ebbi però una delusione perché contrariamente a quanto prospettato nei colloqui, ero stato destinato al servizio di Segreteria Generale della Direzione Generale. Aspettai solo alcuni mesi perché presto mi resi conto che il tipo di lavoro era ben diverso da quello che desideravo; così, per spiegare il motivo delle mie dimissioni chiesi un colloquio con il Direttore Generale che mi ascoltò con un certo stupore per la mia scelta. In seguito accettai un lavoro presso la società di revisione Arthur Young & Co. Fu una esperienza molto positiva; grazie anche ad un ambiente giovane e dinamico imparai moltissimo, tanto che in breve tempo mi furono affidati, in totale autonomia, alcuni audit di piccole società. In quegli anni ho acquisito, oltre alla dimestichezza a leggere i bilanci e a capire i sistemi di controllo delle imprese, anche una forte convinzione: un’impresa in cui vi è disordine organizzativo e contabile è un’impresa che prima o poi andrà incontro a gravi difficoltà e crisi. Le successive esperienze lavorative hanno confermato questa convinzione. Ma anche l’esperienza presso la società di revisione non durò a lungo. Il Professore con cui mi ero laureato mi informò che il nuovo Direttore finanziario dell’EFIM, la più piccola delle holding delle partecipazioni statali, stava cercando un assistente e io avevo proprio le caratteristiche ricercate. Così, resistendo alle contro offerte del precedente datore di lavoro, iniziai una nuova avventura. L’EFIM era un agglomerato di imprese della più diversa specie e natura; si andava dalle fabbriche di armi alle imprese di itticoltura passando per aziende di ottica di precisione. Ma soprattutto era un ente gravato da un indebitamento enorme, principalmente denominato in dollari e soprattutto con una gestione della finanza e della tesoreria non centralizzata; in ragione di ciò la liquidità in eccesso in un’impresa non veniva gestita efficientemente per finanziare con risorse interne altre imprese del gruppo che invece andavano a indebitarsi sul mercato. L’obiettivo della nuova Direzione era quello di impiantare un sistema di controllo finanziario di gruppo al fine di ottimizzare la gestione finanziaria del gruppo. Anche questa fu un’esperienza in cui imparai moltissimo, grazie anche all’affiancamento ad un manager di grande competenza ed esperienza. Erano i tempi in cui ancora esistevano i controlli valutari, era il 1985, e non era possibile acquistare contratti di copertura dai rischi di cambio. Si stipulavano allora i DILS (Domestic Italian Lira Swap), primi contratti con cui chi esportava in dollari e chi doveva effettuare pagamenti in dollari concordavano un tasso di cambio impegnandosi a versare la differenza (rigorosamente in lire) tra il cambio concordato e il cambio effettivo nel giorno di esecuzione del contratto. Proprio studiando questi contratti, cominciai ad occuparmi della teoria delle opzioni e dei relativi modelli di valutazione. Queste conoscenze mi avrebbero portato, nel settembre del 1986, ad approdare in CONSOB. In quegli anni era stato nominato Direttore dell’Area Borsa Giuseppe Zadra, che sarebbe poi stato il mio predecessore nel ruolo di Direttore Generale dell’ABI. Zadra fu tra i promotori del profondo processo di ammodernamento delle strutture del mercato finanziario italiano. In particolare erano anni in cui negli altri paesi europei le riforme regolamentari e l’applicazione delle nuove tecnologie stavano cambiando la fisionomia dei mercati mobiliari. Le vecchie borse “alle grida” cominciavano a cedere il passo ai nuovi sistemi di negoziazione elettronica; cominciavano a svilupparsi anche in Europa i mercati di contratti derivati, i “futures” e le “options”. Zadra, che stava cercando giovani che avessero la capacità di studiare quei fenomeni e di collaborare con lui all’ambizioso progetto di riforma, fu molto colpito, durante il nostro primo colloquio, che io conoscessi la teoria delle opzioni e le fondamenta per la loro valutazione e immediatamente mi offrì di lavorare per la CONSOB. Iniziò per me uno dei periodi di maggior interesse ed impegno professionale. La legge 1/1991, la cosiddetta legge sulle Sim, fornì la base normativa per un articolato processo di rinnovamento che avrebbe in breve portato alla fine del monopolio degli Agenti di Cambio nella negoziazione in borsa; al trasferimento degli scambi dalle “grida” al circuito telematico MTA; alla riforma dei processi di regolamento delle operazioni su valori mobiliari passando dal ciclo di liquidazione mensile alla liquidazione giornaliera; alla creazione della cassa di compensazione e garanzia e all’avvio degli scambi sui contratti future su indici di borsa e poi di opzione. In quegli anni cominciai anche la mia attività nelle sedi internazionali, grazie alla partecipazione alle riunio- ni dello IOSCO (l’organizzazione internazionale delle autorità di vigilanza dei mercati mobiliari – International Organisation of Securities Commission) e, in particolare, del gruppo di lavoro sulla regolamentazione dei mercati mobiliari, di cui sarei divenuto Presidente nel 1998. In questa posizione partecipai a due importanti iniziative. La prima, da me coresieduta insieme ad un rappresentante della FED, era promossa congiuntamente da IOSCO e dal Comitato per i Sistemi di Pagamento (CPSS) della Banca dei Regolamenti internazionali ed aveva il compito di elaborare i principi internazionali per la regolamentazione dei sistemi di liquidazione dei valori mobiliari. La seconda, promossa nel 1999 dall’allora neocostituito Financial Stability Forum (poi divenuto Financial Stability Board), era volta a individuare i rischi posti alla stabilità finanziaria dagli Hedge Fund alla luce del tracollo del Long Term Capital Management e della crisi asiatica del 1997/98. In ambito europeo partecipavo alle riunioni del Forum of European Securities Commission (FESCO), organismo che si sarebbe poi tra- sformato nel Committee of European Securities Regulator (CESR) e oggi divenuto l’attuale ESMA. Queste esperienze internazionali furono altamente formative e mi permisero anche di lavorare a stretto contatto con due Presidenti della CONSOB oggi scomparsi e rimpianti, Luigi Spaventa e Tommaso Padoa-Schioppa. Grazie all’esperienza e anche alla notorietà acquisita grazie alla partecipazione alla Task Force IOSCO/CPSS, alla fine del 2000, lasciai la CONSOB per assumere l’in- carico di Direttore Generale prima e poi di Amministratore delegato della Monte Titoli SpA, il sistema di deposito accentrato di valori mobiliari italiano. L’incarico appariva estremamente sfidante in quanto comportava, tra l’altro, la guida del processo di passaggio a nuovo sistema di regolamento delle transazioni in valori mobiliari rispetto a quello precedentemente gestito dalla Banca d’Italia. Il progetto ambizioso fu completato nel dicembre del 2003 e la nuova piattaforma, denominata Express II, divenne uno dei sistemi di regolamento titoli più efficienti in Europa. Anche durante il periodo trascorso in Monte Titoli non trascurai l’attività internazionale e fui nominato Presidente dell’Associazione dei sistemi di Deposito Accentrato Europea (ECSDA). In quella fase si cercava di promuovere una maggiore interconnessione tra i sistemi di regolamento titoli nazionali, al fine di supportare più efficacemente il processo di integrazione del mercato finanziario europeo. Purtroppo il settore privato non fu in grado di dare adeguate risposte alle richieste che in tal senso venivano dalle Autorità europee e in particolare dalla BCE che alla fine diede il via al progetto Target 2 Securities per dar vita ad un sistema di regolamento titoli unico europeo, divenuto effettivamente operativo nel giugno del 2015. Nel settembre del 2004, ricevetti numerose sollecitazioni per rientrare in CONSOB a ricoprire il posto rimasto vacante di Capo della Divisione Intermediari. Fu una scelta difficile: da un lato si trattava di accettare un rilevante sacrificio economico, dall’altro apriva una nuova sfida professionale in un ambiente a me già noto e per il quale conservavo comunque un interesse, un affetto e ricordi molto positivi. Sembrerà un’espressione abusata, ma lo spirito di servizio prevalse sulle considerazioni di tipo economico e accettai questo nuovo incarico. Nella nuova veste mi trovai ad affrontare le complesse istruttorie relative ai casi di violazione della disciplina sul collocamento di strumenti finanziari da parte di numerosi intermediari relativamente a obbligazioni Cirio, Parmalat e altri titoli. Le istruttorie furono lunghe e accurate anche perché era la prima verifica dell’effettiva applicazione delle nuove disposizioni della direttiva MIFID, che richiedevano la profilatura dei clienti attraverso il processo di verifica di adeguatezza. Ma ancora una volta la permanenza nella nuova posizione avrebbe avuto breve durata. Nel giugno del 2006, ricevetti una telefonata da parte di una società di ricerca del personale che mi proponeva un colloquio per una importante posizione dirigenziale in un’altra istituzione pubblica. Incuriosito e sempre alla ricerca di sfide professionali e culturali accettai il colloquio. Dopo alcuni giorni ricevetti una telefonata, la voce dall’altra parte del telefono mi disse: “Sono Padoa-Schioppa, vorrei incontrarla per un breve colloquio”. Accettai immediatamente e il giorno dopo, per la prima volta in vita mia, varcavo la soglia della stanza del Ministro dell’Economia e delle Finanze ed ero seduto di fronte a lui e alla famosa scrivania di Quintino Sella. In seguito quella stanza mi sarebbe divenuta familiare e l’avrei frequentata anche in altre vesti e con altri ruoli.
Con il suo fare semplice, diretto e cordiale Padoa- Schioppa mi comunicò che la società di consulenza incaricata di trovare il nuovo dirigente generale per la Direzione IV del Dipartimento del Tesoro (che si occupava del sistema bancario e finanziario) aveva indicato me come il candidato più adatto. Cosa di cui si rallegra- va molto ricordando molto positivamente la pur breve collaborazione ai tempi in cui era stato Presidente della CONSOB. In pochi giorni fu concordato il mio distacco dalla CONSOB al MEF e ai primi di luglio prendevo possesso della mia Direzione nel Dipartimento del Tesoro. Ancora mesi di duro lavoro. Vi era l’urgenza di dare recepimento a numerose direttive europee e, nono- stante la preziosa collaborazione di validissimi colleghi, le risorse della Direzione erano veramente scarse (e lo sono tutt’ora) per far fronte all’ingente mole di lavoro. L’attività su Bruxelles, nei vari comitati (il Comitato Economico e Finanziario, il Comitato per i servizi finanziari, ecc.) era molto intensa. Nel 2007 quando cominciavano a propagarsi anche in Europa gli effetti della crisi finanziaria causata negli Stati Uniti dalla fine della “bolla speculativa” dei mutui subprime, Padoa-Schioppa riprese uno dei temi a lui cari: quello di dotare il mercato finanziario dell’Eurozona di un sistema integrato di vigilanza bancaria e soprattutto di adottare un sistema di regole di vigilanza unico per evitare che regole non applicate uniformemente determinassero, come poi di fatto accadde, rischi di frammentazione del mercato finanziario con conseguenti diffi- coltà di trasmissione della politica monetaria. Mi chiese perciò di provare a redigere una lettera indirizzata al Presidente dell’Ecofin, il portoghese, Fernando Teixeira dos Santos e agli altri ministri delle finanze del gruppo con cui si esortava a compiere passi veloci verso la costituzione di una autorità di supervisione unica europea e l’adozione di un “single rule book”. La lettera fu inviata per essere letta e discussa nella riunione dell’Ecofin del dicembre 2007. Ma nonostante l’autorevolezza del mittente, le proposte caddero nel vuoto, in un silenzio quasi imbarazzante. Ci sarebbero voluti cinque anni e la violenza devastante della crisi economico-finanziaria che raggiunse l’apice nel 2012 per convincere le Istituzioni Europee a lanciare alla fine del 2012 il progetto di Unione Bancaria, il cui primo pilastro, il Meccanismo di Vigilanza Unico Europeo, sarebbe divenuto operativo il 4 novembre del 2014. Tommaso però non sarebbe vissuto abbastanza per vedere realizzato il suo progetto, morì improvvisamente il 18 dicembre del 2010. Nel maggio del 2008, decisi che la mia esperienza al Dipartimento del Tesoro poteva considerarsi conclusa e rientrai nelle fila della CONSOB dove fui nominato Capo della Divisione Emittenti. Ero molto lieto di questa nomina, che mi permetteva di completare la mia visione ed esperienza delle attività di regolamentazione e di vigilanza della Commissione. Qui infatti avevo iniziato lavorando nella Divisione Mercati, poi avevo diretto la Divisione Intermediari e ora anche in questo nuovo settore vi era molto lavoro da fare non solo dal punto di vista delle quotidiane attività di vigilanza ma anche dal punto di vista organizzativo e dell’efficientamento dei processi di vigilanza e dell’organizzazione. Avevo iniziato il lavoro con rinnovato entusiasmo, ma nella primavera del 2009 ricevetti una nuova telefonata di una società di ricerche di personale. Pur non avendo allora nessuna intenzione di lasciare la CONSOB, per- ché aspiravo a essere nominato Direttore Generale, vista la mia esperienza a tutto campo maturata in quell’am- biente, fui vinto dalla curiosità e accettai l’intervista. Qualche mese dopo ero davanti ad una ampia delegazione del Comitato Esecutivo dell’Associazione Banca- ria riunita per esaminare i due candidati selezionati per il posto di Direttore Generale. Fui scelto all’unanimità specie per le mie ampie esperienze in campo europeo e internazionale. Anni dopo mi divertii a rileggere i verbali di quella seduta e i giudizi, lusinghieri, espressi sul mio conto. Quel giorno del giugno del 2009 non immaginavo cosa mi avrebbe aspettato nei successivi anni di lavoro, come Direttore Generale dell’Associazione Bancaria Italiana. Gli effetti della crisi finanziaria scoppiata negli USA, a seguito dello scandalo dei mutui subprime, si erano velocemente propagati in Europa e, se in quella fase le banche italiane erano rimaste sostanzialmente indenni, così non era stato per la nostra economia, caduta in una prima recessione. Proprio a supporto delle imprese e delle famiglie colpite dalla crisi iniziammo a studiare le prime moratorie che avrebbero contribuito in misura determinante a limitare gli impatti della crisi sul tessuto delle nostre piccole e medie imprese così come sulle famiglie. L’Europa nel frattempo cominciava a reagire in maniera più organica e coordinata alla crisi. Sulla spinta delle nuove regole di Basilea (il pacchetto di regole denominato Basilea 3) fu avviato un importante processo di riforme regolamentari, culminato con il lancio del pro- getto di Unione Bancaria, ad oggi non ancora concluso e che mostra anche ampi margini di miglioramento sotto numerosi profili. L’impegno volto a dare un contributo al processo di revisione normativo perché questo potesse trovare un giusto equilibrio tra l’esigenza di stabilità e di non creare vincoli alla crescita e al ruolo delle banche nel sistema produttivo ha trovato anche riconoscimento nella nomina, nel dicembre 2016, a Presidente del Comitato Esecutivo della Federazione bancaria Europea. Ma come il presbite non riesce a mettere a fuoco gli oggetti troppo vicini, così mi è difficile raccontare e esaminare con il dovuto distacco vicende così recenti e tuttora in corso di svolgimento. Non posso però terminare questa biografia senza citare il Presidente dell’ABI Antonio Patuelli. Eletto in un momento di grande difficoltà per il settore bancario e per l’Associazione stessa, ha consentito di risalire una difficile china con visione programmatica e etica, con metodo e razionalità, sostenuto da convinzioni forti che affondano le solide radici nella cultura liberale europea. La comunanza di valori e di visione ha reso più semplice il lavoro comune anche nei momenti in cui i venti contrari soffiavano impetuosi come sulle cime della mia amata Maiella.