Giulio Andreotti

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Appena lo vidi il “divo” Giulio mi sem­brò molto consumato dalle vicende che lo stavano colpendo. L’aspetto era quel­lo di un uomo anziano al termine di una stagione politica che lo aveva visto prota­gonista per decenni. Lo incontrai in un convento dove aveva tenuto una confe­renza agli esponenti democristiani del luogo. Erano gli anni del processo ma Andreotti non aveva perso il suo humour. Anche nell’intervista, provocato dalle mie domande con garbo, non risparmiò alcu­ne velenose battute all’“amico” Bettino Craxi che si apprestava a raggiungere la Tunisia. Ricordo che parlava con un filo di voce quasi impercettibile aprendo la bocca il minimo indispensabile e rimanendo im­mobile come una sfinge. Proconsole di Giulio Andreotti in Pie­monte era l’onorevole Vito Bonsignore che anni prima aveva organizzato in suo onore una kermesse a Torino con centi­naia di invitati. In quell’occasione il lea­der democristiano, più volte presidente del Consiglio, aveva elogiato il suo protet­to, con grandi attestazioni di stima. Ero presente alla manifestazione e al termi­ne intervistai Bonsignore ricordandogli i complimenti ricevuti. Vito, che di solito mantiene un aplomb imperturbabile, sor­rise e si emozionò. In provincia di Cuneo erano andreot­tiani, almeno in certi periodi, Carlo Baldi, Natale Carlotto e Giovanna Tealdi. Tre personaggi che raccoglievano un numero straordinario di preferenze grazie alle lo­ro indiscusse abilità e alla Coldiretti che governavano con efficacia trasformando­ la al momento opportuno in una micidia­le macchina elettorale. Chiesa, Coldiretti e partito consentiva­no alla Democrazia Cristiana di supera­re in provincia di Cuneo il quaranta per cento dei consensi e di conquistare inca­richi nazionali che venivano assegnati a Giuseppe Pella, Adolfo Sarti e Francesco Mazzola.