I veleni di Arcore

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Roma. Il colpo di mano, detta anche “riorganizzazione”, che ha sconvolto il fine settimana di Forza Italia ha un’osservatrice interessata: Giorgia Meloni. La premier fa politica da una vita e sa bene che non è mai raccomandabile immischiarsi nei conflitti interni degli altri partiti. Ma non può non notare che la svolta impressa dal comunicato firmato Silvio Berlusconi diramato venerdì sera abbia come conseguenza immediata quella di veder prevalere l’ala più vicina con il suo governo

La soddisfazione mal celata del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida all’annuncio del ritorno di Paolo Barelli come capogruppo alla Camera, al posto di Alessandro Cattaneo è stata una prova evidente. Il sollievo è grande: Forza Italia aveva rappresentato fino a oggi una spina nel fianco per il governo. E proprio i due capigruppo erano considerati l’insidia più grande, più potenziale che effettiva. E in un sistema bicamerale, è il ragionamento che fanno i meloniani, aver messo al sicuro almeno uno dei due gruppi parlamentari è una garanzia notevole. Il naturale sviluppo della riorganizzazione sarà, più che il partito unico (che in Via della Scrofa non interessa affatto) un’alleanza tra Partito popolare europeo e i Conservatori presieduti da Meloni.

Ma dietro a un’operazione volta a blindare la maggioranza ci sono anche delle incognite, che i più avveduti tra i consiglieri della presidente del Consiglio fanno notare: gli sconfitti di questa partita possono vendicarsi e più in generale non è mai positivo avere come alleato un partito diviso. E definirlo diviso è un eufemismo. Dentro il movimento azzurro la defenestrazione di Cattaneo e il declassamento di Licia Ronzulli, che resta capogruppo al Senato ma perde la guida della Lombardia, ha generato uno scossone dalle conseguenze imprevedibili. Il livello dello scontro è molto più alto. Un gruppo ampio di forzisti indica Marta Fascina come regista del colpo di mano,

la fidanzata del Cavaliere (che ieri lui ha definito «mia moglie» in un’intervista concessa al Corriere della Sera dopo mesi di silenzio mediatico). Fascina ad Arcore ha preso sempre più potere e sarebbe anche sostenitrice della linea filorussa che Berlusconi ha espresso in alcune occasione. La deputata campana a diversi interlocutori ha raccontato dei suoi timori di uno scenario nucleare ormai vicino, tanto che avrebbe cominciato a cercare case con un rifugio antiatomico per sfuggire all’onda nucleare che potrebbe generarsi con un attacco in Inghilterra. E nella residenza del Cavaliere qualcuno dice di aver visto una lista di persone da salvare nel caso di apocalisse nucleare.

Ma la questione riguarda più la politica interna che quella estera. Fascina in questa ultima fase ha ricucito il rapporto con Antonio Tajani, che ha ottenuto il ritorno di Paolo Barelli a capogruppo alla Camera, e con Giorgia Meloni. La svolta governativa di Berlusconi ha stupito molti: il presidente di Forza Italia ripeteva «Giorgia ci vuole mettere in un angolo», ma ora ha trovato un’interlocuzione fluida, che mette al riparo il governo.

La domanda che si fa ora l’ala critica è: cosa fare? Per il momento prevale la linea di restare nel partito, per un logorio interno, nella convinzione che il nuovo corso guidato dalla “quasi moglie” di Berlusconi incontrerà molti ostacoli. L’altra via sarebbe uscire dal partito, ma quasi unanimemente si riconosce che non ci sono né gli approdi, né le alternative possibili a questo governo e quindi per il momento non ci saranno fuoriuscite.

Così si farà buon viso a cattivo gioco anche davanti alle future mosse di Berlusconi: la prossima potrebbe essere la sostituzione del tesoriere Alfredo Messina, con un avvocato che viene da Mediaset al quale passare il prezioso faldone con le firme del partito. Gli occhi ora sono puntati sul Senato, la maggioranza si regge su una decina di voti, Forza Italia conta 18 seggi e sulla carta ha la golden power sui destini dell’esecutivo. Ma Fratelli d’Italia sin dall’inizio della legislatura ha lavorato sul gruppo berlusconiano a Palazzo Madama, garantendosi il voto di un numero sufficiente di senatori in caso di problemi.

(FRANCESCO OLIVO – lastampa.it)