Il giallo del Lazio che è rimasto giallo

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zingaretti
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Verrebbe voglia di chiedere: a che gioco giochiamo? Perché l’impressione è che Sua Maestà la Scienza sia strumentalizzata a fini politici, usata come un alibi dal governo e dai media (che sono quasi tutti dalla stessa parte), per fare delle scelte partigiane.

Stamattina su La Verità si parlava dello strano caso della regione Lazio, che resta gialla nell’universo pluricolorato del lockdown all’italiana e che però rappresenta anche un giallo per chi non si stanca di esercitare l’arte del dubbio o del “sospetto” pur senza essere il commissario Maigret. C’è l’algoritmo si dice, e ci son pure i 21 criteri standardizzati che decidono il colore di una regione. Bene, ma i dati, che come i fatti di Nietzsche in sé sono stupidi, chi li fornisce? Come vengono raccolti? Sono verificabili? Siamo sicuri che qualche “manina” non li abbia “pettinati” prima di consegnarli?

Venendo più nel concreto: è plausibile che l’indice Rt del Lazio sia migliorato improvvisamente proprio quando si dovevano decidere i colori da assegnare alle singole regioni? E le débacle sugli antiinfluenzali perché non desta clamore nei media mainstream, che pure alla Lombardia dell’odiato Fontana non risparmiano nulla? Non ci sono forse motivi biecamente politici, di parte, dietro questa diversità di trattamento? Non dimentichiamo che il governatore del Lazio è Nicola Zingaretti, che è il socio indispensabile a questa maggioranza per tenersi su. E che se proprio la sua regione sfigurasse più di tanto, il sospetto di inefficienza nella gestione governativa del virus, che ormai gli italiani hanno quasi tutti, diventerebbe ancora più palese.

Sia beninteso: a chi scrive non piace affatto che la partita del Covid si giochi esclusivamente sul tavolo della scienza. Fra i motivi che dovrebbero stabilire se chiudere o meno una zona (che solo stupidamente può essere individuata amministrativamente come una regione) dovrebbero esserci delle scelte politiche, cioè qualcuno che, assumendosi in pieno la responsabilità di esse, tenesse nel debito conto i più vari elementi (inclusi la coesione sociale, la sicurezza e l’economia) e decidesse di conseguenza per il bene comune.

Ma una cosa è la politica, la grande politica degli statisti, di cui in questo momento in Italia c’è un deficit strutturale; altra cosa è il bieco interesse di bottega di chi, da una parte chiede “responsabilità” all’opposizione, e dall’altra agisce partigianamente e scarica irresponsabilmente sugli altri (ad esempio gli scienziati o le regioni non “amiche”) i propri errori assumendosi ogni merito solo per sé quando le cose volgono al meglio. E che dire della stampa, che abdica al suo compito storico di informare e fare inchieste sul potere (di cui si diceva un tempo che doveva essere “cane da guardia”) entrando in gioco a gamba tesa come megafono di quest’ultimo?

Sia chiaro: i dubbi e i sospetti (che nulla hanno con il “complottismo” che ragione in grande ed è irrealistico) possono essere anche fugati, rilevarsi inconsistenti. Ma, da una parte, ci vorrebbe quella “trasparenza” e quell’accountability sulle proprie scelte che il governo Conte arrogantemente non ha, e dall’altra, un giornalismo coraggioso che facesse il proprio mestiere e non il lecchino del potere. In mancanza dell’uno e l’altro, i sospetti si ingigantiscono e viene meno anche la fiducia dei cittadini che proprio scemi non sono. E poi chiamano spregiativamente “populista” la lorio reazione!                         Corrado Ocone