Il gioco delle mascherine

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Mascherina sì o mascherina no? Mascherina nì.

È questa non la soluzione salomonica che mette tutti d’accordo, sia il ministero sia la regione, ma l’ennesimo stato confusionale e anti-illuministico con cui si tende a tenere persone e cittadini in una condizione di minorità non più ammissibile. Il governo ha fatto già sapere che dal 28 giugno con la nuova ordinanza ministeriale non c’è più la necessità di indossare la mascherina mentre c’è l’obbligo di averla con sé per metterla nei casi in cui non ci fosse il distanziamento fisico. Insomma, l’ordinanza non fa altro che dire in modo diverso quanto già era stabilito nel precedente documento. Ciò che realmente cambia è la situazione: siamo in zona bianca.

A questo punto Vincenzo De Luca non ci sta e considerando la Campania una sorta di repubblica a parte ritiene di intervenire e ordinare l’uso della mascherina nelle situazioni in cui — passeggio, shopping, folla — non c’è un sufficiente distanziamento fisico. In pratica, se non è zuppa è pan bagnato. Ciò che c’è realmente in gioco nei giochi di ordinanze e di parole delle autorità è da una parte la confusione delle carte — il modello è Azzeccagarbugli — e dall’altro la soggezione in cui deve esser tenuto il cittadino ossia noi tutti. Francamente, non se ne può più.

La pandemia e soprattutto il modo in cui è stata contrastata hanno messo in pericolo non solo la nostra salute fisica ma anche e forse ancor più la nostra salute mentale. Ma quando diciamo che dobbiamo ritornare a una situazione di normalità o, come ha detto Sergio Mattarella, dobbiamo nuovamente ripartire mettendo a frutto ciò che abbiamo imparato a nostre spese, cosa intendiamo dire se non uscire da una situazione di minorità che proprio la regione Campania ci imputa? Basta. Sapere aude! Ognuno abbia il coraggio di servirsi della sua propria intelligenza e in base a situazioni e luoghi, tempi e persone decida se indossare o no la mascherina. La nostra salute mentale e la libera facoltà di giudicare non sono ostacoli ma la pre-condizione per rinascere e per contrastare in futuro un eventuale stato di crisi epidemiologica. Si esca una volta per tutte dalla comoda criminalizzazione dei cittadini.

La mascherina, fin dall’inizio di questa storia che nessuno di noi nemmeno immaginava di poter vivere, è stata non tanto un “dispositivo di sicurezza” ma un simbolo. In alcuni casi indicava un pericolo e una precauzione, ma in altri era già di suo una patologia e un malessere mentale. Quest’ultimi ce li portiamo ancora dietro come una sorta di lunga convalescenza o una coperta di Linus che non riusciamo ad abbandonare.

Faccio tre esempi: l’automobilista, il passeggiatore, il bagnante. Chi di noi non ha visto e non vede tuttora l’automobilista che, solo in auto, magari non mette la utile cintura di sicurezza ma indossa la superflua mascherina? C’è poi il passeggiatore solitario che in aperta campagna o in completo isolamento sul viale del tramonto ha sul volto la mascherina che gli impedisce solo di respirare bene.

Infine, il bagnante o più spesso la bagnante che è passata dal costume a due pezzi al costume a tre pezzi: sotto, sopra e in faccia. Quando prende il sole e quando è in acqua. La particolarità di questi casi è che non sono eccentrici ma comuni e sono la chiara manifestazione di un disagio mentale in cui non ci fidiamo più né gli uni degli altri, né delle istituzioni. La peggiore vittima del Covid è la fiducia. Senza fiducia è del tutto impossibile vivere secondo civiltà.

Giancristiano Desiderio