Italia in fiamme: gli incendi vanno prevenuti, non spenti

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“La strage del clima” titolava “la Repubblica” in prima pagina il 16 luglio dando, notizia dell’ondata di maltempo che stava devastando Germania e Belgio e riferendo che secondo gli esperti si trattava di “eventi estremi causati dal riscaldamento globale”.

Quello discusso, tra l’altro, dal G20 a Napoli di cui pure “Strisciarossa” ha dato notizia.
Finita l’acqua, comincia il fuoco

Finita l’acqua – ma c’è sempre da temere che sia ‘momentaneamente’ – è cominciato il fuoco. Ha cominciato ad andare in fumo la Sardegna: 20mila ettari distrutti al 27 luglio. Poiché gli incendi si diffondono anche per simulazione (simulati da quelli che li appiccano), è stata subito la volta della Sicilia, massacrata in lungo e in largo sin dentro Catania, poi a ruota la Calabria e mentre scrivo brucia in Abruzzo, a Pescara, la “pineta dannunziana” (se fosse vivo il poeta si metterebbe subito in un aereo a gettare acqua e volantini sul fuoco).

È una vecchia storia: non c’è quasi estate che ne sia esente. Quando poi la natura (la natura?) ci mette il suo con l’anticiclone africano che fa “bruciare” l’ambiente di calore, è più facile per piromani delinquenti appiccare e godere del fuoco. Fregandosi le mani quando questo comporta anche lucrosi interessi: nel modo in cui riutilizzare gli spazi distrutti (malgrado le leggi che lo vietano per anni) e nel modo in cui far sversare tonnellate di acqua da elicotteri e canadair.
Cosa si dovrebbe fare

Anche in questo caso viene accusato il mutamento climatico responsabile degli eventi estremi e i comportamenti umani che lo causano. Ma tra i due eventi ai quali mi riferisco, alluvioni e incendi, c’è una differenza: i primi sono prevalentemente colposi, i secondi sono totalmente dolosi.

Che fare per gli incendi? Realisticamente poco.

Come mi capita di ripetere, quasi ogni estate, quando qualcuno me lo chiede: gli incendi non si spengono, si prevengono. Non è una mia invenzione, ma quanto mi dissero i responsabili del Corpo forestale dello Stato quando, nominato presidente dell’appena istituito Parco nazionale del Vesuvio (era il 1995), manifestai preoccupazione per questo fenomeno che quasi ogni anno colpiva l’area messa sotto tutela. Allora pur essendo nella fase pionieristica del Parco, avendo avuto dal Ministero del Lavoro 162 LSU provammo a risolvere con loro il problema. Come è noto LSU è l’acronimo di lavoratori socialmente utili. Ci sembrò che poco fosse socialmente più utile che prevenire gli incendi sul Vesuvio. Con pochi soldi per l’acquisto di binocoli, radio trasmittenti ed altri attrezzi utili per la bisogna, dividendo buona parte degli LSU in squadrette che fecero avvistamento e sistemazione del sottobosco. Risultato? Non un centimetro quadrato di bosco andò in fumo.

Questa è la regola che Stato, Protezione Civile, Regioni, dovrebbero avere sempre ben impressa in mente prima di palleggiarsi le responsabilità quando succede il finimondo.
L’importanza della prevenzione

Gli incendi non si spengono. Quando da cielo vengo sversate tonnellate d’acqua (spesso marina e quindi salata) queste non servono a spegnere il fuoco, ma a circoscrivere l’area del fuoco, cercando che si ampli il meno possibile.

Quelli che da qualche anno sono i Carabinieri forestali dovrebbero diffondere questo avvertimento. E la Protezione Civile – spesso benemerita – dovrebbe sapere che molto spesso protezione deve far rima con prevenzione. È inutile intervenire a fuoco appiccato, ma avvertendo che il compito spetterebbe alle Regioni. La protezione di territorio, ambiente e cittadini va fatta prevenendo il disastro cominciando dalla primavera e non dall’estate inoltrata. E va fatta, per esempio, utilizzando i molti cittadini residenti e presenti che non hanno un lavoro e che potrebbero svolgerne uno di eccezionale utilità come quello di tutelare l’ambiente naturale perché non se ne vada in fumo.

Se poi si pensa e si dimostra che non si può fare a meno dell’acqua, buttiamola pure dal cielo, ma anche in questo caso prima degli incendi, in modo che i piromani che vorrebbero fare terra bruciata ne siano impediti perché vi trovano terra bagnata.

Si farà mai? Una risposta l’ha data Simenon: “Le catastrofi funzionano come le malattie. All’inizio uno si aspetta che la guarigione sarà un processo lungo, che la vita non sarà più la stessa, poi si accorge che pian piano la routine riprende il sopravvento”. Lo ha scritto nel 1968 in La mano (p. 81) l’ultimo volume della lunga serie dei volumi di Simenon che Adelphi sta pubblicando, anche questo grazie alla preziosa intuizione dell’appena scomparso Roberto Calasso.

Di Ugo Leone