LA BOSNIA DEGLI ULTIMI

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In fila per un pasto caldo con pochi e mal ridotti servizi igienici, temperature sotto lo zero. Sono loro i dimenticati: profughi, migranti, i disperati della Bosnia, per lo più di origine afgana e pakistana, costretti al freddo in una tendopoli di fortuna.

Un incendio lo scorso 23 dicembre ha distrutto le ultime certezze rimaste, il centro di accoglienza di Lipa, in un inverno che non dà tregua.

Secondo Amnesty International sono circa 2500 i profughi bloccati nel Paese.

I migranti bloccati in Bosnia sono un problema europeo, una questione internazionale e una carta da giocare per i paesi che “aspirano” ad entrare nell’Unione Europea. Sono un problema urgente da risolvere, per tutti, ma restano lì, a sopravvivere, in attesa di ripartire.

L’incontro in Bosnia, della scorsa settimana tra il capo della rappresentanza Ue, Johann Sattler e il ministro della sicurezza bosniaco, Selmo Cikotic, nella cittadina di Bihac è voluto essere un segnale per i Paesi UE ed Extra-UE a fare di più e più in fretta.

La scelta di Bihac non è stata casuale, a soli 20 km dal centro di Lipa, i rappresentanti UE hanno voluto dimostrare vicinanza e ascolto ai 750 migranti rimasti, sottolineando alle autorità bosniache che l’accoglienza deve essere una questione d’interesse internazionale e dunque, non solo i Paesi membri dell’Unione Europea ma anche per coloro che aspirano a farne parte.

Un riferimento chiaro dunque per le due comunità bosniache: la Federazione croato-musulmana (Bh) e la Republika Srpska (Rs) che al contrario, hanno fatto sapere di non essere disponibili e di non voler neppure riaprire il campo di Bira, nonostante il richiamo dell’Alto rappresentante UE, lo scorso 6 gennaio, alle autorità bosniache di “assumersi le proprie responsabilità”. Anche le accuse mosse proprio ieri dalla Commissaria per gli Affari interni dell’Unione europea, Ylva Johansson sulle condizioni disumane dei migranti di Lipa, sono chiarissimi, ammonendo la Bosnia di non essersi assunta responsabilità e chiedendo di affrontare concretamente la situazione umanitaria. Parole di rilievo, ma ad ora parole al vento.

Perché così tanti migranti “intrappolati” in Bosnia?

Perché la rotta balcanica così come originariamente concepita non esiste più. Il nostro Paese è tuttavia interessato dal transito di migranti via terra, in Friuli Venezia Giulia, in cammino verso i paesi del nord Europa.

L’anno appena trascorso ha visto aumentare del 420% i migranti irregolari rispediti dall’Italia alla Slovenia una cifra considerevole che ha posto dubbi sul “come” sia stato possibile un così alto numero di respingimenti.

La risposta è presto detta. Secondo alcune ONG, il migrante irregolare intercettato dalle forze dell’ordine locali, dovrebbe per legge europea seguire una procedura di riconoscimento, accertamento e valutazione del “diritto alla protezione”. Spesso però la procedura in questione non viene completata e così, l’iter di allontanamento, in barba alle leggi europee sull’immigrazione fondata su principi di “solidarietà” e “responsabilità”, viene messo da parte in favore di logiche di espulsioni a tappeto e di accordi bilaterali tra Stati europei, utili strumenti, questi ultimi, per “aggirare e violare il diritto di non respingimento e di espulsioni collettive” così come sta accadendo in Croazia dove il 90% dei respingimenti sarebbe avvenuto con la forza.

E così il migrante viene riaccompagnato alla frontiera dell’Unione Europea, vale a dire, in Bosnia.

Consapevole che per la questione migratoria la rotta del Mar Mediterraneo faccia maggior scalpore, non dobbiamo assolutamente sottovalutare quella balcanica. Sebbene nelle ultime settimane siano stati compiuti dei passi avanti per l’avvio di un tavolo di rimodulazione del Trattato di Dublino, complice l’Italia, che ha posto con forza la questione in UE non dobbiamo dimenticare che è “qui” e “ora” il momento per agire e ottenere risposte concrete sul tema. Non possiamo più procrastinare e, al di là della visione politica che ognuno ha, dall’altra parte della barricata, non troviamo fantocci ma esseri umani in condizioni di vita precarie.

Mi auguro che l’Unione Europa proponga con tempestività un piano di stanziamento fondi urgente tale da permettere quanto prima l’uscita della Bosnia e dei migranti dal pantano mediatico in cui versano anche prevedendo l’apertura di nuovi centri di accoglienza e di un piano sull’immigrazione sufficiente a creare condizioni di vita dignitose per chi è in fuga.

Yana Ehm