A far due conti, metà di quel taglio – in totale 67,8 milioni di euro all’anno, 339 milioni a legislatura tra Camera e Senato – sta tornando nelle loro tasche. E ora spetta alla Consulta decidere se riavranno pure gli arretrati. O nella migliore delle previsioni tutto, ma proprio tutto il malloppo: lo deciderà la Corte presieduta oggi da Giuliano Amato, titolare del trattamento che spetta a ogni ex che si rispetti.
Ma riavvolgiamo il nastro. Montecitorio sta ricalcolando gli assegni degli ex deputati dopo che il tribunalino interno presieduto dal dem Alberto Losacco ha smontato pezzo dopo pezzo la delibera sui tagli: prima cancellando per i beneficiari dei trattamenti la necessità di dover dimostrare di non percepire altri redditi di importo superiore all’assegno sociale e di avere patologie di una certa gravità per ottenere una mitigazione della stretta. E poi, a dicembre, bocciando i criteri che erano alla base della sforbiciata.
La scorsa settimana si è scoperto cosa costa superare l’algoritmo messo a punto dall’Istat e dall’ex presidente dell’Inps, Tito Boeri, che aveva originariamente abbattuto gli importi, specie per gli ex deputati che hanno goduto più a lungo del vitalizio calcolato con il metodo retributivo: una ventina di milioni di euro all’anno che andranno a rimpinguare gli assegni di Lorsignori dimezzando i risparmi (45,7 milioni) previsti per l’amministrazione di Montecitorio.
Che si è riservata di fare appello al collegio di secondo grado presieduto dall’ex pentastellato (ora in Alternativa) Andrea Colletti (molto poco propenso ad allargare le maglie della delibera sui tagli) anche se in molti son pronti a scommettere che la Camera non farà ricorso, con il risultato di poter definitivamente incamerare al bilancio i risparmi, per quanto dimezzati rispetto ai piani iniziali.
E al Senato? Stessa solfa: il taglio in vigore dal 1º gennaio 2019 è stato annullato grazie alla giustizia interna di Palazzo Madama a cui si erano rivolti gli ex senatori lamentando la lesione dei loro diritti. In questo caso, però, si tratta di sentenza definitiva che mette una pietra tombale sui risparmi inizialmente ipotizzati: 22 milioni di euro all’anno che dovrebbero diventare la metà dal momento che si tratta di una decisione gemella rispetto a quella di Montecitorio.
Si dirà: meglio di niente. E invece no. Perché Lorsignori sperano di fare tombola grazie alla Corte costituzionale. Chiamata intanto a decidere se il Senato dovrà pure sganciare gli arretrati, ossia le differenze non corrisposte dall’entrata in vigore della delibera. Ma soprattutto a decidere se il ricalcolo contributivo è stato fin dal principio legittimo nei suoi presupposti.
ILARIA PROIETTI


