La crisi del dominio Usa si gioca tutta con la Cina

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Quando un impero si percepisce in declino lo è. Giacché pensa e agisce come lo fosse. La Russia invade l’Ucraina perché si sente alle corde e deve dimostrare a sé stessa, all’America e alla Cina di meritare tuttora il rango di grande potenza

Sicché rischia la pelle in una guerra strategicamente insensata. La Cina si dipinge in recupero dopo il secolo delle umiliazioni e fissa nel 2049 il limite entro il quale ristabilirsi potenza superiore, come propria narrazione vuole fosse fino al 1839 (Prima guerra dell’oppio). Sotto la propaganda, si sente il fiato grosso di un colosso che ha appena compiuto uno sforzo prodigioso per riagganciare i vertici della scena planetaria e si rende conto che quel modello vincente non funziona più. L’America resta il Numero Uno ma sconta con raccapriccio il timore di perdere la premessa del suo impero: la sovraordinazione sul resto del mondo – 96% circa dell’umanità. Anche per questo le élite washingtoniane più disinibite, imbevute d’inconcusso spirito missionario e/o troppo use al comando per abdicarvi, diffondono il messaggio che l’ennesima “guerra per finire tutte le guerre” sarà presto contro la Cina. Questione di quando e come non di se.

Dal mitico Solarium, esercizio strategico segreto arbitrato dal presidente Eisenhower che nel 1953 fissò la rotta nella partita con l’Unione Sovietica, le scuole di pensiero che si affrontano sul come affrontare il Nemico sono due mascherate da tre. Fautori del contenimento (containment) o del rovesciamento (roll back) del regime/Stato avverso. Conservatori contro sovversivi. In mezzo coloro che per paura di trovarsi nel partito dei perdenti imboccano la terza via che non esiste. Evitano la sconfitta finale perdendo subito.

Nulla di più diverso di Unione Sovietica ieri Russia oggi e Cina, salvo che quando le scrutano gli americani vedono rosso. Tradotto: non convertibili al canone a stelle e strisce. Irredimibili. Sicché resta l’alternativa se conviverci in competizione permanente oppure sfondare la porta e abbatterne la casa. Al tempo di Eisenhower vinse a mani basse la squadra del contenimento perché era la squadra dell’arbitro. Gratis. Il presidente fissò un principio teoricamente senza tempo: «L’unica cosa peggiore della sconfitta in una guerra globale è vincerla. […] Non ci sarebbe più libertà individuale dopo la prossima guerra globale». L’America “vittoriosa” involverebbe in “Stato guarnigione” autoritario e illiberale. Invece di redimere il Nemico diventerebbe come lui.

Oggi, età di Biden (?), nello Stato profondo, nel Congresso e nel governo volano gli stracci su che fare con Russia e soprattutto Cina. Con la prima si vorrebbe chiudere la partita ucraina, classificata secondaria, per dedicarsi al decisivo scontro con la Cina. Applicando un congelamento stile coreano. Ma Kiev per ora non ci sta perché sarebbe duro spacciarlo per vittoria. Soprattutto, la corrosa credibilità dell’America toccherebbe il nadir: quale tra gli “amici e alleati” potrebbe sentirsi garantito da un capo disposto a mollare gli ucraini dopo averne elevato l’eroica resistenza a scontro di civiltà, salvo premettere di non volercisi impegnare direttamente?

Quanto alla Cina, l’argomento dei teorici del contenimento, ovvero della convivenza competitiva, è che i costi della guerra sarebbero economicamente e moralmente insostenibili (linea Eisenhower). Serve una forma di coesistenza. Aiutiamo Xi a non perdere la faccia perché altrimenti scatenerà una guerra che non potremo vincere. Il tempo è con noi.

I sovversivi oppongono che è troppo tardi per compromettersi con Pechino. Quindi tre offensive convergenti. Sul fronte economico, via disingaggio selettivo, riducendo al minimo l’interdipendenza. Su quello tecnologico, scontro totale su biotecnologie, semiconduttori, intelligenza artificiale, 5G e affini. Riarmo rapido e intenso in vista del conflitto inevitabile nell’Indo-Pacifico, entro massimo tre-cinque anni. Arco di tempo nel quale potremo ancora prevalere. Il tempo è contro di noi.

Ragionamenti entrambi legittimi. Il secondo ha dalla sua il fascino dell’avventura. Sicché Limes ha sentito alcuni strateghi sovversivi, oggi maggioritari, e ne ha tratto l’impressione che pensino davvero in grande.

Sintesi. Vittoria è se stronchiamo insieme le ambizioni di Cina e Russia. L’America è sicura solo quando in Eurasia sono abolite le condizioni che vi consentirebbero l’affermazione di una superpotenza (Cina) o di una coalizione di potenze nemiche (al peggio Cina-Russia-Iran, con il placido consenso di Germania, Francia, Italia e altri europei) capace di imporre un ordine mondiale antiamericano. Per impedirlo occorre circondare lo Heartland eurasiatico con una catena di soci fedeli a Washington ancorati lungo il Rimland – fascia costiera e marittima attorno al bicontinente – in modo da controllarne gli stretti, quindi le massime vie d’acqua commerciali e militari. Il punto è passare all’offensiva. Ripristinare la credibilità degli Stati Uniti presso i propri alleati e contro i nemici. Prima vincere la semifinale in Ucraina per mettere la Russia fuori gioco. Spezzare così qualsiasi intesa Mosca-Teheran e riconsolidare il Medio Oriente già filoamericano, oggi assai oscillante. Poi concentrarsi sull’Indo-Pacifico, dove si giocherà la finalissima contro la Cina. Ma non subito, perché occorre comporre la corona degli alleati attorno al Rimland eurasiatico e rivitalizzare il sistema militare-industriale a stelle e strisce.

LUCIO CARACCIOLO