(La cultura del) Risparmio di Giuseppe Guzzetti (Presidente dell’ACRI)

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Tratto da “ Lessico Finanziario “ di Beppe Ghisolfi – ARAGNO Editore

In uno scorcio d’anno in cui i mercati recuperano fiducia e i dati strutturali del Paese mostrano segni di ripresa, si torna a parlare positivamente di risparmio, da sempre un valore per gli italiani.

Ma cos’è il risparmio? Il risparmio è quella parte del reddito che non viene consumata per utilizzarla in un momento successivo, cercando di aumentarne o almeno mantenerne il valore nel tempo. Esso è alla base di ogni investimento economico, sociale, personale ed è perciò strumento di crescita e di sviluppo. È anche la materia prima con cui lavora il mondo della finanza e del credito; ma è soprattutto lo strumento per dare sostanza ai sogni e consistenza ai progetti, per stessi e per altri: una casa, una vacanza, un puntello per il benessere futuro, la base economica per offrire ai propri figli l’occasione per realizzarsi con una propria impresa, la risorsa per un’iniziativa filantropica o sociale da destinare alla collettività. In ogni caso è un bene per il Paese, in particolare del nostro Paese, la cui Costituzione lo tutela (art. 47).

Il risparmio è, perciò, la risorsa principe per il futuro dell’Italia. E dovrebbe fissarsi sempre più nell’economia, a sostegno dello sviluppo. La tutela del risparmio in tutte le sue forme è cruciale; coinvolge l’operare di autorità e banche, intermediari e associazioni, soggetti pubblici e privati, ognuno per le sue responsabilità. Il risparmio da privilegiare non è quello che deriva da un contesto di recessione e che – unito a una situazione di prossimità alla deflazione, ora peraltro in parte superata – segnala lo spegnersi delle aspettative per il futuro, il rinvio continuo degli acquisti, l’allontanamento delle decisioni di investimento. No, il risparmio da privilegiare è quello che si forma come solitamente avviene in spirito di previdenza per l’uso consapevole delle risorse, per il bene delle generazioni che seguiranno, per la consapevolezza dell’importanza del frutto del proprio lavoro.

La crisi degli ultimi anni ha, però, ampliato non poco l’area delle famiglie per le quali il risparmio non è un’opzione effettivamente percorribile, perché i bisogni quotidiani eccedono le poche opportunità di reddito. E in effetti il fenomeno della povertà assoluta è cresciuto sensibilmente fino a coinvolgere in Italia oltre 4,7 milioni di persone, delle quali 1,3 milioni sono minori (Istat, luglio 2017). E certamente positiva è stata la scelta del Governo nel 2016 di varare un apposito fondo struttu- rale per contrastarla e oggi la proposta di un reddito di inclusione.

Le Fondazioni di origine bancaria sono in campo da tempo per attenuare l’impatto della povertà sulle famiglie, con i loro numerosi progetti di welfare. Ed è signifi- cativo che al welfare che raccoglie i settori di Assistenza sociale, Salute pubblica e Volontariato – nel 2016 siano stati destinati 293 milioni di euro, pari al 28,5% delle nostre erogazioni, per interventi non sostitutivi dei servizi pubblici. Risorse queste a cui vanno sommati i 120 milioni di euro di risorse specificatamente indirizzati al Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile, generando così una quota complessiva di erogazioni per il welfare di 413 milioni di euro. Realizzato grazie a un accordo fra l’ACRI e il Governo, con la collaborazione del Terzo settore, del volontariato e delle scuole, il Fondo per il contrasto della povertà educativa minorile è uno dei più importanti fra i progetti collettivi delle Fondazioni. Nel loro insieme esse lo alimentano con un contributo di 120 milioni di euro all’anno, per tre anni, a partire dal 2016; viene realizzato tramite bandi, in un’ottica di trasparenza e rendicontazione, con l’obiettivo di coprire tutto il Paese e di mano in mano coinvolgere tutte le fasce d’età dalla prima infanzia all’intera adolescenza.

Tornando al risparmio, ribadisco che esso contiene gli sforzi del passato, la tranquillità del presente, la premessa per progetti futuri. Ne sono convinto, ma bisogna che abbia sempre più una grande valenza positiva in termini macroeconomici. Gli oltre 100 miliardi di euro (a tanto ammonta il risparmio medio annuo degli italiani) che le nostre famiglie sottraggono a possibili consumi immediati sono un plus importante, che il Paese deve valorizzare. Il risparmio è il primo anello di una catena che diventa virtuosa solo se si trova il modo di convertirlo in investimenti e quindi in possibile crescita economica. Negli anni appena trascorsi questa catena si è dimostrata fragile e purtroppo si è più volte interrotta.

Una parte della pubblicistica corrente sostiene che l’inaridimento degli investimenti pubblici è responsabilità del nostro Paese, più che l’effetto dei vincoli europei. Ciò sia per il debito pubblico accumulato sia perché i Governi italiani si sarebbero sottratti al difficile compito di selezionare, riqualificare e quindi ridurre la spesa pubblica corrente. È indubbio che su questo terreno molto si possa e si debba ancora fare, sia per gli importi sia per i benefici alla collettività che questa spesa produce. È però facilmente verificabile che il cosiddetto avanzo primario (cioè il disavanzo pubblico al netto della spesa per interessi) è positivo da molti anni. L’Italia ha, infatti, gestito la spesa pubblica (almeno sul piano contabile) con maggiore oculatezza della maggior parte dei paesi europei; e il mancato recupero dei valori pre-crisi si deve proprio al limitato uso della leva pubblica, di cui invece in altri paesi (ad esempio Francia e Spagna) si è fatto ben più ampio utilizzo. La Germania, anch’essa come noi virtuosa riguardo all’avanzo primario, lo è soprattutto grazie ai suoi risultati nel commercio estero, per i quali anche noi diamo buone performance. Purtroppo per noi, però, anche adesso che il costo del rifinanziamento del debito è estremamente sceso, la nostra spesa annua per interessi è pari a circa quattro punti di PIL.

Lo scenario economico internazionale continua a registrare segnali di miglioramento. L’Eurozona condivide largamente questo clima favorevole. L’Italia, da parte sua, è tra i paesi per i quali la previsione economica viene rivista più decisamente al rialzo; sono migliorate anche le aspettative per il futuro, tanto da far ritenere possibile il consolidarsi di una dinamica che porti all’allineamento con la media della crescita dell’Eurozona. Le politiche disegnate dalla Banca Centrale Europea hanno sopito, infatti, la pericolosa volatilità manifestatasi nel circuito finanziario e hanno parallelamente incoraggiato un diffuso processo di risveglio economico. I recenti provvedimenti della BCE che segnalano un ritiro graduale del piano di quantitative easing vanno nella direzione di mantenere ancora gli stimoli. Sarebbe, però, un errore cantare vittoria definitiva sulla crisi; occorre continuare a mantenere alta la guardia e adoperarsi per utilizzare tutte le leve possibili per una crescita maggiore e, nel contempo, per proseguire lungo la linea delle riforme strutturali. Nell’area euro l’inflazione è ancora lontana dal target del 2% indicato dalla BCE. Di qui la necessità che proseguano le misure non convenzionali di politica monetaria, nel presupposto che la stabilità dei prezzi si consegue raggiungendo il suddetto target, ma con un’inflazione “buona”, che sia conseguenza della crescita dell’economia e dei redditi; diversamente, un aumento generalizzato dei prezzi colpirebbe le classi di reddito meno favorite.

La qualità dell’attuale risveglio economico del nostro Paese non pare “appesa” a un favorevole contesto congiunturale. In questi anni difficili il nostro paese ha finalmente aggredito alcune storiche criticità. Mi limiterà ad accennarne tre. La prima è quella della giustizia civile. Per molti anni la certezza del diritto, condizione non secondaria per il corretto funzionamento di un sistema economico, è stata fortemente indebolita dalla lentezza del sistema giudiziario. Gli interventi normativi compiuto in questi anni per normalizzare l’andamento del contenzioso hanno avuto un indubbio successo: i tempi medi evidenziano un trend di diminuzione e il numero dei procedimenti pendenti è oggi di un terzo inferiore (due milioni di procedimenti in meno!) rispetto al punto massimo (5,7 milioni) toccato nel 2009, un progresso che ha riguardato anche la cosiddetta “giacenza patologica”. Il secondo esempio è la riforma del diritto fallimentare da poco entrata in vigore. Il disegno di legge delega approvato in via definitiva dal Senato per riformare le discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza è, infatti, un intervento davvero “rivoluzionario”, perché pone la salvaguardia dell’impresa e delle sue relazioni di mercato al centro delle procedure per regolare le fasi di difficoltà dell’impresa. Finalmente la crisi e l’insolvenza sono riconosciute come momenti non patologici nel ciclo di vita di un’impresa, possibilmente da prevenire, ma non da determinare un pregiudizio definitivo e ineliminabile sul futuro dell’impresa stessa. Il terzo ha come oggetto i pagamenti della pubblica amministrazione. Alcuni anni fa i ritardi nei pagamenti dovuti da enti statali erano davvero inaccettabili e producevano pesanti ricadute anche sul circuito dei pagamenti tra privati, acuendo così una congiuntura economica e finanziaria già straordinariamente difficile. In questo caso il cuore dell’intervento è la piattaforma informatica realizzata dal MEF, piattaforma che oggi monitora l’esito di quasi 30 milioni di fatture per un importo di 150 miliardi di euro. Il ritardo rispetto alle medie europee non è stato interamente colmato, ma i progressi realizzati sono sostanziali e percepibili dalla quotidiana esperienza ancor prima che dalla lettura delle statistiche.

La ripresa, dunque, è il riflesso di mutamenti profondi, intervenuti nella struttura produttiva, dove una crescente quota di imprese sta perseguendo con determinazione l’obiettivo dell’innovazione tecnologica e del rafforzamento patrimoniale. Le migliorate condizioni operative hanno, infatti, prodotto evidenti riflessi sul profilo finanziario delle imprese. Lo testimonia, tra l’altro, la loro dotazione di liquidità, in significativa crescita, e la riduzione delle sofferenze bancarie. Alla fine di settembre le imprese italiane risultavano titolari di circa 270 miliardi di depositi bancari. Inoltre, la quota di imprese che dichiara di aver realizzato utili nel 2016 è pari al 73%, un valore storicamente elevato e oltre 4 punti percentuali in più rispetto all’anno precedente. Ancora difficile rimane, invece, la condizione delle imprese di costruzioni, per le quali la stessa percentuale scende al 58%.

Al miglioramento della condizione finanziaria delle imprese contribuisce significativamente la riduzione del costo dei finanziamenti bancari. Questa discesa è in Italia sensibilmente più intensa di quanto rilevabile altrove in Europa, tanto che il differenziale tra Italia ed Eurozona, che nella prima metà del 2015 superava il mezzo punto percentuale e che dodici mesi dopo era pari ancora a 31 centesimi, risulta sostanzialmente annullato a una recente verifica (settembre 2017).

Si sta quindi gradualmente attenuando quella fragilità economico-finanziaria del tessuto imprenditoriale che ha molto acuito nel nostro Paese l’impatto della crisi degli anni passati. Si tratta di una favorevole evoluzione che attendevamo da anni, perché ci fa sperare nel consolidamento della crescita e per i positivi riflessi che può avere per le banche, la cui vulnerabilità recente è riconducibile in misura importante proprio al deterioramento della qualità del portafoglio prestiti alle imprese. Sotto quest’ultimo profilo, per riportare la situazione alla normalità è necessario favorire un’evoluzione positiva su due diversi piani. Il primo riguarda il processo di formazione di nuove situazioni problematiche. La graduale perdita di intensità di questo processo sta avvenendo grazie al combinarsi di tre differenti dinamiche: il miglioramento della congiuntura economica, il rafforzamento patrimoniale avviato dalle imprese, la discesa degli oneri finanziari (che è un riflesso della politica della Banca Centrale Europea).

Non meno importante, nell’attuale contesto italiano, è la sistemazione dell’eredità negativa pervenutaci dai molti anni di crisi. Superata la possibilità concreta di un circuito vizioso tra esposizione delle banche e debito sovrano, grazie anche all’apporto delle misure non convenzionali messe in atto dalla BCE, è ancora gravoso sui bilanci delle banche il peso dei crediti deteriorati, anche se in significativo miglioramento.

Influiscono positivamente su questo fronte anche importanti innovazioni legislative. In particolare mi riferisco a quanto contenuto nel decreto legge di metà 2015 (art. 16 del D.L. n. 83 del 27 giugno 2015), che cambia in modo radicale il trattamento fiscale di svalu- tazioni e perdite su crediti verso clientela, consentendone la deducibilità integrale nell’esercizio in cui sono rilevate in bilancio. Non meno importante è la GACS ovvero la Garanzia dello Stato sulla Cartolarizzazione delle Sofferenze. E senz’altro apprezzabile è l’impegno del CSM a definire linee guida per accelerare i tempi delle esecuzioni immobiliari. La celerità delle procedure esecutive è essenziale per accrescere la competitività del sistema economico ed è un contributo sostanziale non solo all’efficientamento dell’iter per lo smaltimento dello stock dei crediti deteriorati, ma anche a una loro piena valorizzazione. Affiancandosi ad altre circostanze positive (prima fra tutte il miglioramento della congiuntura) queste novità stanno contribuendo a determinare un sensibile ridimensionamento sia dello stock sia dei flussi dei prestiti deteriorati, evoluzione già da alcuni mesi ben evidenziata dalle statistiche nazionali (Banca d’Italia) ed europee (European Banking Authority), con una convergenza sempre più intensa verso il dato medio dell’Eurozona.

Il rilancio della crescita delle imprese, fondamentale per l’occupazione, è dunque possibile, ma richiede una forte ripresa degli investimenti. Mai come ora, esistono le condizioni per un piano di rafforzamento e ammodernamento della dotazione delle infrastrutture che qualificano un paese moderno: reti fisiche e digitali, interventi di tutela del territorio dai molti rischi a cui è esposto (non ultimo quello sismico), programmi indirizzati verso il risparmio energetico, ecc. La Cassa Depositi e Prestiti, di cui le Fondazioni di origine bancaria sono azioniste, può dare un contributo non secondario alla realizzazione di questi progetti. L’auspicio è che l’eccezionalità di questa fase venga pienamente colta, ma senza il traino europeo i progressi risulteranno inevitabilmente lenti.

Riguardo all’Europa, vi è l’esigenza di voltare pagina rispetto alla linea di rigoristica austerità praticata a Bruxelles, senza che ciò debba significare lassismo nel campo della finanza pubblica oppure abbandono della linea delle riforme di struttura, che va accompagnata da contestuali scelte di sostegno della domanda aggregata. Ma anche l’azione politica in Italia deve ritrovare una progettualità nuova. Un ruolo importante, come già sottolineato, può averlo la Cassa Depositi e Prestiti, anche nell’aiuto alle Pmi che cominciano a guardare con più attenzione al mercato dei capitali come a una vera opportunità per la crescita. Peraltro, Borsa Italiana è ancora troppo piccola per essere un sostegno vero al Paese. Qualcosa, però, sta cambiando, grazie a strumenti come i Pir, cioè i Piani individuali di risparmio, che da un lato offrono forti incentivi fiscali ai risparmiatori che li detengano per almeno cinque anni, dall’altro cercano di indirizzare un significativo flusso di risorse verso imprese non quotate. Nei primi nove mesi del 2017 la loro raccolta ha sfiorato i 7 miliardi di euro.

Per un cambio di passo, però, i cittadini devo essere sempre meglio attrezzati. Spread, rating, default sono parole ormai consuete nel nostro lessico quotidiano. I telegiornali e le conversazioni devono fare i conti con competenze economico-finanziarie di base di cui i più erano, fino a poco tempo fa, completamente digiuni. Ma pochi sono gli italiani che comprendono davvero fino in fondo quello di cui si sta parlando. Quindi a tutela del risparmio e della sua adeguata valorizzazione è fondamentale un miglior livello di alfabetizzazione finanziaria degli italiani.

È necessario coordinare gli sforzi che soggetti pubblici, associazioni, banche e altri intermediari compiono in materia di educazione finanziaria. L’adozione di una misura legislativa per l’educazione finanziaria come il “Comitato per la programmazione e il coordinamento delle attività di educazione finanziaria”, istituito con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze di concerto con il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e il Ministro dello Sviluppo Economico con l’obiettivo di promuovere e programmare iniziative di sensibilizzazione ed educazione finanziaria, è senz’altro utile e necessaria per dare a questa branca dell’istruzione il rilievo dovuto nei programmi delle scuole di ogni ordine e grado.

Capire i meccanismi dell’economia, comprendere le offerte del credito, iniziare a pensare a forme di previdenza complementare: tutto questo si traduce in un passaggio cruciale per diventare adulti. E la stella polare di questo processo deve essere a mio avviso l’educazione a una gestione responsabile del risparmio. La necessità di un’alfabetizzazione, però, non riguarda solo i ragazzi in età scolare, ma anche gli adulti, per i quali occorrerà progettare, in particolare avvalendosi dei mezzi di comunicazione di massa, specifiche forme di coinvolgimento.