La premier & C., sedicenti eredi del defunto Berlusconi

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Sembra paradossale, ma temiamo che la scomparsa di Silvio Berlusconi toglierà a questa arrembante e affamata destra quel minimo di moderazione ultimamente incarnata dall’ex Cavaliere, forse ispirata dall’età avanzata (oppure dal non più essere di cattivo esempio).

Un pensiero che sorgeva nell’osservare le immagini della navata del Duomo stracolma di opulenza e potere era che tutti o quasi i presenti erano debitori di qualcosa all’uomo deposto nella bara. Colui che travolto da un irresistibile desiderio di vita, di felicità e di possesso (la tosta omelia dell’Arcivescovo di Milano Delpini) ora starà regolando i conti (per chi ci crede) con l’Onnipotente. Di certi bilanci più terreni, e molto prima che lui lasciasse questo mondo, già se ne discuteva in famiglia (Mediaset), in FI (una incasinata Succession senza successori) e nel governo (che peso dare a un’armata smarrita e privata del suo monarca assoluto).

Come in ogni rito autocefalo, subito si sono fatti avanti i sedicenti interpreti autorizzati del lascito spirituale del defunto. A cominciare dal ministro Nordio, che con destrezza ha iscritto la cosiddetta riforma della giustizia “nel solco dell’eredità di Silvio”. Robaccia consistente nell’imbavagliare l’informazione sulle intercettazioni e in una sorta di liberi tutti per ciò che concerne la custodia cautelare e l’abuso d’ufficio. Un tale insulto alla legalità che forse avrebbe sorpreso lo stesso Silvio ultimamente sceso a più miti consigli nei confronti dei giudici, almeno a sentire i suoi avvocati.

Anche sulla guerra in Ucraina il ventennale rapporto di B. con l’amico Putin (che non ha mancato di inviare le più sentite condoglianze) e l’aperta diffidenza nei confronti di Zelensky tolgono a Giorgia Meloni l’imbarazzo di dover giustificare presso Biden e la Nato i residui refoli di pacifismo annidati nella maggioranza.

Del resto l’imposizione senza discussioni del lutto nazionale sembra rispondere sempre di più alla regola ferrigna del guai ai vinti, del siccome abbiamo vinto le elezioni decidiamo noi. È finita che mentre in piazza i tifosi del Milan cantavano ‘c’è un solo presidente’, sapendo che non c’è più, in chiesa l’officiante non ha chiesto di scambiarsi il canonico segno di pace (forse subodorando qualcosa).

Antonio Padellaro