La riforma del Movimento e il vecchio Pd

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È da decenni che il Pd si affida a nuovi condottieri e nuove formule per sanare le sue crisi e rilanciarsi. Un cambiamento calato dall’alto che ha sistematicamente fallito. Il Movimento è un progetto agli antipodi dei vecchi partiti come il Pd e non dovrebbe commettere lo stesso errore di affidarsi a riforme verticistiche per uscire dalla profonda crisi politica che lo sta dilaniando. Il Pd straparla da sempre di chissà quale rinnovamento ma non è mai riuscito a cambiare nulla. Né se stesso, né il paese. Il Pd è un partito dirigista ed ostaggio degli stessi poltronosauri e delle stesse logiche di sempre. Un partito profondamente conservatore, diviso in correnti ormai istituzionalizzate con tanto di capibastone. Quella del Pd è una storia di nuovi salvifici segretari, nuove confezioni, nuovi slogan, nuovi corsi. Tutto fumo e nessun arrosto. Questo perché il cambiamento calato dall’alto non funziona. Produce solo palliativi che durano qualche tempo, poi al primo bivio riemergono le fratture e gli antagonismi di sempre. Anno dopo anno il Pd è diventato sempre più arido e lontano dalla realtà e dai cittadini. Il Movimento nasce anche per evitare tutto questo. Per permettere cioè un ricambio regolare di portavoce e quindi di idee ed energie. Il Movimento nasce per evitare la deriva leaderista e quella dirigista e quella correntista. Con il potere decisionale che è il più possibile ampio, condiviso e partecipato e questo per la sua fiducia nell’intelligenza collettiva e non in quella di pochi dirigenti chiusi in una stanza. O almeno era questa l’idea originaria. Un ribaltamento totale rispetto ai vecchi partiti come il Pd. Per questo l’aspetto più doloroso della crisi della fiducia a Draghi è stata la sensazione che i dirigenti del Movimento avessero come paura del voto della base quando si son resi conto che in molti erano contrari. Come se nel momento più topico nemmeno loro credessero fino in fondo alla democrazia diretta. Eppure è proprio questa la via d’uscita della crisi che sta dilaniando il Movimento, il suo modello di democrazia diretta. Per salvarsi il Movimento dovrebbe cioè affidarsi ciecamente alla sua base e resettare tutto. Sia a livello di dirigenti che di contenuti che di direzione di marcia. Tutto. Dovrebbe affidarsi ciecamente alla sua intelligenza collettiva che è anche coscienza. Solo così riuscirà a curare le ferite, girare pagina e ripartire. Affidarsi a nuovi condottieri come Conte potrebbe dar frutti ma solo nel breve periodo. Potrebbe calmare la tempesta e aumentare il consenso, ma alla lunga le lacerazioni e le contraddizioni interne del Movimento ritornerebbero a galla rischiando di danneggiare l’ex premier. Lo stesso vale per nuove formule moderate o liberali che siano. Se sono calate dall’alto alla lunga lasciano il tempo che trovano come dimostra la triste storia dei vecchi partiti come il Pd. Il rinnovamento e il cambiamento politico autentico e quindi solido e duraturo avviene solo dal basso. Vale per le forze politiche come per i paesi. I fatti dicono che milioni e milioni di elettori hanno abbandonato il Movimento in soli tre anni e la controversa fiducia a Draghi ha fratturato perfino lo zoccolo duro rimasto. Invece che illudersi con palliativi verticistici, invece che lasciarsi andare in autodistruttive faide intestine, il Movimento dovrebbe credere a fondo in se stesso, dovrebbe credere a fondo al proprio modello di democrazia diretta ed affidarsi con fiducia alla sua intelligenza e coscienza collettiva. Resettando tutto. Tutto. Se invece non avrà il coraggio di farlo, la speranza è che altri proseguano la nuova e sacrosanta via democratica che ha aperto.                                                                                                                                                       (Tommaso Merlo)