La riforma della Magistratura

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Che sia amministrativo, civile, o penale, aver ragione o torto davanti a un giudice è sempre il momento conclusivo della lotta di classe. La Magistratura è il guardiano dello Stato, il custode ultimo dell’ordine sociale. Prima o poi si capirà che ogni rivoluzione passa inevitabilmente per le tortuosità del suo ventre. Prima o poi i labirinti del sistema giudiziario, sondati a mala pena dalle registrazioni e dai trojan della legge anticorruzione, ci regaleranno la prova definitiva di avere un guardiano dannoso per la democrazia, un sorvegliante del tutto irresponsabile del suo ufficio. Prima o poi la destituzione di tutte le autorità – che è l’unica rivoluzione a dilagare oggi indisturbata tra i due terzi inferiori della società – dovrà decidere se mandare definitivamente a quel paese Tocqueville, Locke e i philosophes. La separazione dei poteri, in cui è stato allevato il nostro senso dello Stato, oggi pare non essere più adeguata alle esigenze della democrazia.

Quello del giudice è un compito troppo alto, troppo importante. L’errore o la parzialità nel suo adempimento possono cancellare ogni buon proposito politico, distruggere ogni speranza di vita civile. E’ bene ricordare una volta per tutte, che la legge non è superiore al bene comune, e che il bene comune è deciso da una maggioranza qualificata. Allora, ditemi, come può essere indipendente un soggetto istituzionale sprofondato più di ogni altro nel torbido dei rapporti sociali, il cui tenore economico dipende completamente dalla politica? Ditemi, come può l’autogoverno dei giudici assicurare l’assenza di interesse privato nell’esercizio della sua funzione? Il giudice non è il sacerdote di una religione esoterica in stato di clausura, e il grado di corruzione dei suoi membri (anche per il potere e la natura della loro funzione) è maggiore della media degli altri cittadini. Che allora il giudice diventi un impiegato come tutti gli altri, controllato da un sistema gerarchico facente capo al governo, e sorvegliato dalla democrazia con un commissario del popolo nei tribunali.

Al giudice dovrà essere certificato il possesso di un QI elevato e una capacità morale ed empatica non comuni. Egli non dovrà capire solo questioni di diritto, ma interpretare in ogni passaggio l’interesse della democrazia secondo linee stabilite dalla politica. In ogni grado del suo ufficio non potrà derogare alla responsabilità a cui qualunque altro impiegato è sottomesso. Sarà dunque necessario rendere il giudizio impersonale e, laddove sia possibile, le parti non dovranno corrispondere a identificabili figure sociali. La sensibilità del giudice dev’essere intonata a una legge atemporale, universale, interclassista, asessuata, e il libero convincimento sottomesso all’osservanza delle sole leggi vigenti. L’orientamento secondo cui la sua bilancia debba pendere sempre dalla parte dell’autorità, delle maggioranze, del denaro (oggi anche del genere femminile), deve essere annientato.

La pletora delle procedure non ci ha garantito il successo della verità in giudizio, anzi: impedisce del tutto la conoscenza dei fatti, quando questi possono nuocere al dominante. Sicché la celebrata civiltà giuridica, allo stesso modo di una ragione serva dell’istinto, può rivelarsi un modo differente per creare l’ingiustizia, cioè l’aspetto più spiacevole della legge della foresta. E’ perciò compito della politica stabilire definitivamente (e non con la vuota “legge uguale per tutti”) che lo scontro giudiziario non si compia tra due soggetti o enti privati, ma tra soggetti paritetici della democrazia, assicurandone la reale equivalenza. Ciò che è finora passata orgogliosamente come supplenza dell’ordine giudiziario nelle questioni politiche, è solo la prova del suo anarchico e irresponsabile strapotere di fronte al tentennamento della politica, e all’impossibilità di trovare maggioranze in un paese affogato dalla guerra tra bande. Etc etc                                                                                                                                         Giuseppe Di Maio