LA RIFORMA INFINITA DEL TERZO SETTORE. NUOVE ANNUNCIAZIONI E VECCHI PROBLEMI

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Cristina Cherubini, Dottore Commercialista e Giornalista Pubblicista, apporta un interessante contributo al tema del TERZO SETTORE

D.1 – La riforma del Terzo Settore sembra riprendere vigore nel suo lungo iter di implementazione, pur con luci ed ombre. Dal punto di vista dei Dottori Commercialisti quali sono i punti positivi emersi con il Decreto Fiscale approvato recentemente dal Senato collegato alla Legge di Bilancio 2022 (DL 146/2021 Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 21 ottobre 2021, n. 146, recante misure urgenti in materia economica e fiscale, a tutela del lavoro e per esigenze indifferibili), che modifica la Disciplina IVA per le non profit? Un altro “pasticcio” del Parlamento dopo il Decreto 1000 proroghe del CdM guidato dall’allora Premier Conte?

R.1La parola d’ordine in questo caso è “semplificazioni”, che il legislatore tenta ogni volta di plasmare per rendere la normativa fiscale e la burocrazia più snella ma che, in realtà, tendono solo a complicare ancor di più lo scheletro normativo degli enti.  Già lo scorso anno in fase di dibattito sulla legge di bilancio si paventava lo spettro di una riforma epocale per gli enti non commerciali legata all’applicazione dell’iva. Quest’anno spunta nuovamente la proposta di modificare l’applicazione dell’iva per le associazioni portandola da non imponibile ad esente. Oggetto di analisi e rimodulazione è ancora una volta l’art. 4 del DPR 633/72 quello cioè che prevede la non imponibilità ai fini Iva delle operazioni effettuate dagli enti non commerciali ai propri soci, associati o partecipanti verso corrispettivi specifici. Nel caso in cui questa proposta dovesse andare in porto gli enti no profit saranno aggravanti da notevoli adempimenti necessari ai fini fiscali e legati alla nuova natura iva attribuita alle operazioni da loro effettuate, senza che lo stato e le sue finanze ne abbiano poi un reale giovamento.

D. – E quali allora i punti ancora non idoneamente esacerbati dalle varie integrazioni ai DL sul Terzo Settore?

R. – Il primo grande problema della riforma è stata la sua effettiva lunga e sofferta realizzazione. Ha seguito difatti un percorso attuativo rallentato e composto da eccessivi elementi prodromici che dovevano essere attuati al fine di poter avere un quadro completo. Una riforma a tappe senza che esse fossero collegate da un reale filo pratico, più che logico. La logica infatti del legislatore è sembrata chiara all’inizio, ovvero quella di creare una normativa uniforme ed omogenea, ma purtroppo tale linea teorica non si è però mostrata efficace nella pratica sia per i continui cambi di ruolo al Ministero (e agli accordi politici di spartizione tra i partiti) sia per l’inadeguatezza di molti partecipanti allo sviluppo, che hanno cagionato continui ritardi, non editato i decreti attuativi oltre che autorizzazioni da parte degli organi europei ancora oggi non pervenute. Tali adempimenti continuamente procrastinati hanno creato solo più confusione ed incertezza, tant’è che il Terzo Settore è allo sbando ed è ormai indirizzato su soluzioni alternative più pragmatiche, col problema della sua sostenibilità finanziaria prima ancora della compliance normativa.

D. – Quali sono le difficoltà che quotidianamente devono affrontare le organizzazioni del Terzo Settore in ordine di priorità? E quali potrebbero essere le loro soluzioni?

R. – Dal punto di vista formale di coerenza ai requisiti di legge, mi duole affermare che uno dei più grandi problemi che devono ancora affrontare gli enti no profit è quello legato all’adeguamento dello statuto.  È quasi terrificante pensare che molte associazioni ancora oggi non abbiano modificato le proprie carte ed atti fondamentali, adeguandosi alle nuove normative imposte dal d.lgs. 117/2017 e s.m. e i., cullate dai numerosi slittamenti che il legislatore ha concesso per l’utilizzo delle modalità semplificate per l’eventuale approvazione del nuovo statuto. Con tale adempimento chiaramente si collega la grande decisione che dovranno prendere, quella cioè di essere o non essere un ente del Terzo Settore, scegliendo difatti di richiedere l’iscrizione al RUNTS acquisendo tale qualifica o decidendo invece a fronte di precisi ragionamenti, che quella non è la strada più idonea per il raggiungimento dell’obiettivo sociale dell’ente considerato. Gli enti che devono ancora comprendere a fondo l’intensità e la variabilità della riforma sono spesso impossibilitati a capire quale sarà la miglior strada da seguire. A fronte di tali decisioni, sarà poi necessario seguire l’iter per l’iscrizione al RUNTS, diverso ed automatico per alcune categorie di enti, più complesso ed ancora incerto per altri.

D. – In un recente webinar organizzato dalla rivista VITA e ospite il Prof. Zamagni dell’Università di Bologna sono emerse alcune considerazioni circa il mancato sviluppo atteso dalle donazioni. Quanto ha inciso il periodo pandemico e quanto invece è da addebitarsi dal punto di vista strutturale?

R. – Alcune delle misure più importanti relative alla possibilità data ai privati e alle aziende di beneficiare di particolari agevolazioni fiscali nel caso in cui attuino politiche sociali e di sostegno del settore no profit sono entrate in vigore fin da subito. Già dal primo gennaio 2018 difatti erano applicabili le normative sui titoli di solidarietà, sul social lending, social bonus, oltre che sulle detrazioni e deduzioni concesse per erogazioni liberali, previste rispettivamente dagli artt. 77,78,81 e 83 del d.lgs. 117/2017. E’ difficile stabilire esattamente quali possano essere state le cause che hanno bloccato lo sviluppo, che invece gli operatori si stavano aspettando. Delle donazioni, è però possibile intuire che la mancanza di liquidità e le difficoltà innescate dalle limitazioni e dalle ripetute chiusure delle attività causa pandemia, hanno attivato un meccanismo di preservazione sia nei privati che nelle aziende, un tempo invece disposte ad investire nello sviluppo sociale e pronte quindi a sostenere il terzo settore. Non sembra quindi che vi sia in questo caso una problematica legata ad una carenza normativa, ed a parte il problema reputazionale di cui sopra, lo stallo delle donazioni sembra più dovuto ad una mancanza di liquidità, ed è quindi sintomo di una latente crisi sia economica che valoriale.

D. – Parrebbe evidente quindi che la sostenibilità finanziaria futura di tutto il Terzo Settore deriverà sempre più dai contributi di terzi. Perché secondo lei le aziende e la maggior parte dei privati donano meno di quello che potrebbero fare?

R. – Da valutare a questo punto non è solo la carenza di disponibilità liquide causa crisi economica da poter investire nella socialità, ma è chiaramente emerso da diverse ricerche che vi sia stata negli anni una riduzione della fiducia vantata nei confronti degli enti no profit, causa i tanti scandali (ultimo, tra i tanti, quello di UNITALSI). Probabilmente coloro che potrebbero investire nelle attività portate avanti dalle associazioni sono adesso meno propensi a contribuire al loro sviluppo perché non si sentono garantiti su come potrebbero essere usati efficacemente i loro contributi. Ma probabilmente questa tendenza si sta verificando a causa anche di una distorsione valoriale, è possibile infatti che i terzi non riescano più ad attribuire il giusto valore alle attività svolte a livello istituzionale dagli enti del Terzo Settore. Tale allontanamento può essere causato da errate politiche di comunicazione verso l’esterno delle attività svolte dagli enti, o da una distorta percezione del ruolo che essi ricoprono all’interno del panorama economico e l’incapacità di comprendere che essi rappresentano il fulcro per la sostenibilità socio-economica del Paese. E’ forse necessario attuare strategie mirate al fine di accorciare la distanza tra soggetti esterni ed enti del Terzo Settore al fine di far loro comprendere il reale valore delle attività implementate dagli enti del mondo no profit e veicolare inoltre le informazioni in merito ai numerosi vantaggi fiscali che accompagnano determinati tipi di investimenti nel settore sociale ma rimane indubbio che la comunicazione si deve basare su fatti positivi e su reputazioni al di sopra di ogni sospetto.

Cristina Cherubini

Dottore Commercialista; Giornalista Pubblicista.
Laureata in Economia e Commercio.
Specializzata in Management e Governance; Direzione e Controllo Aziendale
Alumna Università degli Studi di Siena Facoltà di Economia “Richard M. Goodwin”
Collaboratrice QN La Nazione – Grosseto e Rivista Maremma Magazine- Informazione Fiscale Rubrica Associazioni e Contabilità
Coordinatrice provinciale di Grosseto AIC Toscana Onlus
Contatto : cristinacherubini.cc@gmail.com