La scuola è stata dimenticata

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Caro Direttore,

ho letto il suo editoriale il 7 giugno e mi piacerebbe intervenire non solo come tecnica ma anche come componente Comitato Promotore di Azione con delega alla scuola perché mai come ora la scuola ha bisogno di politica che sappia dare e costruire l’idea di scuola che rappresenti l’idea del Paese che si vuole costruire.

Se non fossi una persona tenace e combattiva sceglierei di fare altro, le sollecitazioni in questi anni a prendermi responsabilità in ambiti diversi, anche stimolanti sono state tante e altrettante volte gentilmente rifiutate.

Ho sempre considerato la scuola il luogo dove il cambiamento, che a questo paese serve disperatamente, possa e debba iniziare. Vederla ancora una volta sbeffeggiata e trattata come la Cenerentola, da relegare in soffitta quando arrivano gli ospiti importanti a banchettare non fa più solo male ora fa proprio gridare allo scempio.

Si ha l’impressione che velocemente si perda la memoria di ciò è successo; appena il dramma che abbiamo vissuto sembra superato – o molto mitigato – si tiri un sospiro di sollievo e non ci si fermi a valutare in modo sereno e senza posizioni ideologiche ciò che non ha funzionato e quali correttivi o miglioramenti introdurre per evitare che le situazioni si ripresentino. Non si pensa a come trasformare ciò che è successo in opportunità di cambiamento virtuoso.

Eppure questi mesi che ci restituiscono la generazione dei nostri padri e nonni pesantemente falcidiata e quella di giovani, a cui fra qualche anno saranno richieste le responsabilità e le energie per portare questo Paese fuori dal baratro, duramente provata. Gli effetti delle cui ferite più subdole e spesso nascoste potremmo valutare solo fra un po’. Persino questo quadro non ci sollecita azioni immediate di contrasto ma ci culliamo nell’idea del pericolo scampato.

Sarebbe invece questo il momento in cui uno Stato attento e che ha davvero a cuore i suo figli dovrebbe smettere di usare il bilancino del farmacista e iniziasse a fare tutto ciò che è necessario per permettere loro di tornare a scuola, di tornarci in sicurezza, di tornarci in condizioni didattiche e metodologiche che permettano agli studenti di recuperare quanto perso, di riappropriarsi di una dimensione relazionale attenta agli aspetti educativi, degli apprendimenti ma anche vigile nel cogliere gli aspetti di disarmonia nello sviluppo psico fisico che questi mesi di chiusura possono avere innescato e che andranno nei prossimi mesi attentamente monitorati .

Ci si aspetterebbe uno Stato in grado di assumersi la responsabilità di porre rimedio alle privazione a cui ha sottoposto una generazione di studenti e che la crisi Covid ha plasticamente messo in evidenza, consapevole del fatto che per tentare un riequilibrio è necessario un investimento straordinario e forte, fatto di classi con numeri ridotti, ambienti di apprendimento che favoriscano una didattica attiva e multidisciplinare, personale aggiuntivo, in grado di seguire in modo più efficace e attento gli studenti nel corso dell’anno che si aprirà a settembre. È ora di proporre un’idea di scuola per la ripartenza e oltre.

Sarebbe stata questa un’occasione da cui trarre insegnamento e provare a costruire insieme un’idea di scuola diversa, di dimostrare che crediamo davvero che il futuro di questo Paese passa dalla scuola, e provare ad elaborare una visione ed una strategia che sia utile sia in caso di un riacutizzarsi del virus ma anche se questo, come tutti ci auguriamo, non dovesse succedere fosse il punto di partenza per recuperare un po’ di quanto perso ma cosa più importante per dimostrare ai nostri e alle nostre ragazze studenti e studentesse di ogni ordine e grado che di noi si possono fidare che del loro futuro ci importa davvero e che su di loro siamo disposti ad investire.

Invece NO siamo imbrigliati in decreti e linee guida che parlano di cm, “distanze di 1 metro dalle rime buccali (e non sto scherzando) , in dibattiti surreali sulle mascherine si mascherine no, in frasi tipo ”dirigenti fate con le risorse che avete, con gli spazi che avete e che riuscite a reperire” e cosa ancor più grave in una situazione di indeterminatezza che attende e decide il modello di scuola che a cui i nostri figli avranno diritto a settembre in base all’andamento del virus e alle sue bizzarrie.

E se questo fosse un virus subdolo che ci induce a credere che è tutto finito e poi di nuovo insidiosamente si ripresentasse? Noi che ci siamo dotati solo di un metro per misurare la distanza dalle rime buccali che faremo? Richiuderemo tutto punto e a capo?

Pare proprio di si, come pare che chi decide queste linee guida, che reputo “demenziali”, in classe non ci sia mai stato o non ci vada da un po’, infatti in base a questo modello ci troveremo costretti a fare solo docenza frontale per non infrangere la linea Maginot del metro dalle rime buccali tra alunni ma anche tra docenti e alunni. Che facciamoci mettiamo tutti quei collari circolari e ampi che i veterinari mettono agli animali quando li vogliono limitare nei movimenti del capo ed evitare che si graffino o mordano. Non è così che immagino studenti e docenti fare lezione in modalità di cooperative learning.

Non ha importanza se l’ultimo rapporto sullo stato delle competenze digitali uscito a giugno 2020 ci colloca al quart’ultimo posto in Europa, non importa se l’Italia è il penultimo paese in Europa per numero di laureati seguita solo dalla Romania, non ha importanza se il tasso di disoccupazione giovanile a febbraio in Italia era il 28,9%, peggio di noi in Europa solo Spagna e Grecia e di primati negativi possiamo elencarne tanti, in questo tempo surreale così distante dalla realtà chi ha la responsabilità politica di trovare e proporre soluzioni continua ad illudersi che questi indicatori negativi non hanno alcuna correlazione con la scuola che stiamo proponendo negli ultimi 25 anni.

Continui questa politica sulla strada dello scaricabarile sui dirigenti, che dovranno inventarsi soluzioni improbabili per garantire la didattica, scriviamo quelle linee sulla carta patinata sperando che quella patina nasconda il nulla, il vuoto di pensiero, di visione, di strategia, di contenuti.

Chi la scuola la vive, la ama e la conosce non smetterà di ribadire in modo forte che l’istruzione è un diritto e non è più accettabile che la spesa in istruzione sia considerata dallo Stato un costo e non un investimento sul futuro del paese.