“La sinistra faccia autocritica, ha dimenticato la giustizia sociale”

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Se il treno deraglia le conseguenze sono gravi per tutti

Negli ultimi anni ho pensato, e scritto, che una delle cause più profonde della crisi delle élite in Europa, in particolare dei partiti progressisti, sia stata la tendenza diffusa a disprezzare il disagio, derubricare il conflitto sociale a orpello novecentesco, vivere le disuguaglianze come il prezzo da pagare, apparentemente minimo, di fronte alle opportunità, apparentemente infinite, della globalizzazione e dell’apertura”. Lo scrive Enrico Letta nel suo ultimo libro “Anima e cacciavite” che esce domani in libreria e di cui Repubblica ha pubblicato una anticipazione.

“È stato il nostro abbaglio storico, su cui tutti dobbiamo fare autocritica. Primo, perché abbiamo permesso che la risposta ai bisogni legittimi di protezione fosse appannaggio esclusivo della destra populista – scrive il segretario del Pd -. Secondo, perché, quasi vergognandoci di pronunciare l’espressione ‘giustizia sociale’, abbiamo smarrito l’aspirazione stessa al progresso, non vedendo che intorno a noi si consumava invece un regresso.

Meno lavoro, meno opportunità di crescita, meno speranza, meno figli, meno empatia verso le difficoltà, meno solidarietà verso gli ultimi e i disperati”.

“Proprio oggi che tutto è ancora più accelerato dobbiamo recuperare in fretta il tempo perduto e porre la riduzione delle disuguaglianze e la prossimità verso i bisogni della persona e della comunità al centro della nostra azione politica – suggerisce Letta -. Cosa significa essere progressisti, altrimenti? Dov’è l’anima, di cui parlavo prima? In fondo, dice Filippo Andreatta, ‘rimangono i nemici di sempre da sconfiggere (le 4 P): povertà, privilegi, pregiudizi, paura. Sono ancora gli stessi nemici del Risorgimento, Resistenza e Costituente’”.

Secondo il segretario del Pd infatti “continuare a perpetuare squilibri sottrae linfa e vitalità alle nostre comunità. Ne risentono tutti, non solo gli ultimi, e ciò dovrebbe suggerire alle élite, alla locomotiva, che l’unico vero modo per far procedere a una buona velocità il treno è accettare una volta per tutte che la riduzione delle disuguaglianze – vecchie e nuove, sociali e territoriali, generazionali e di genere – non è più soltanto una sacrosanta questione di giustizia sociale, ma un motivo di convenienza per tutto il Paese, a partire dalle sue classi dirigenti. Perché se il treno deraglia le conseguenze sono gravi per tutti e a rischio ci sono non i privilegi di una parte, ma la sopravvivenza dell’intero sistema della democrazia così come l’abbiamo conosciuto nell’ultimo secolo”.