La triste fine di Berlusconi: da leader a solo gregario (di Salvini)

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Lo ammettiamo, non senza imbarazzo: poco tempo fa, mentre Matteo Salvini, impazzava al Viminale avevamo sperato, perfino, nel rinsavimento di Silvio Berlusconi. Ci sembrava che l’implacabile trascorrere del tempo lo avesse trasformato in un nonnino mite e assennato, come capita a certi incalliti viveur che stanchi di frequentare tabarin e postriboli si dedicano sereni alla pesca con la mosca con un morbido plaid sulle ginocchia. Avevamo l’impressione che disapprovasse le intemperanze xenofobe e filorazziste del suo arrembante alleato leghista. Che per ciò fosse disposto a punirlo, a sottrargli il gruzzolo di voti della derelitta Forza Italia, per impedirgli l’assalto finale al palazzo Chigi. Ma ecco poi la delusione cocente (e la giusta punizione per la nostra ingenuità) con l’imprevisto ritorno del propalatore di barzellette sporche, perdipiù invecchiato male.

Che imbarazzo osservarlo, ieri in piazza San Giovanni fare comunella con i fascistoni di CasaPound. Che pena vederlo ridotto a fare da comprimario a un tipo che oggi si fa altezzosamente chiamare capitano e che soltanto l’altro ieri faceva anticamera ad Arcore, con il cappello in mano. Sì, dobbiamo farcene tutti una ragione, noi che lo abbiamo fieramente avversato e coloro che hanno accumulato carriere e prebende lucidandogli gli stivali: Forza Italia è ai titoli di coda, superata in tromba nei sondaggi dai Fratelli della Meloni, impegnata con Salvini a dividersi le spoglie del partito che in un’epoca non lontana dominava in lungo e in largo. Lo scriviamo onorando la memoria di un galantuomo, il generale Luigi Caligaris, scomparso giovedì scorso a Roma, nelle stesse ore di Paolo Bonaiuti, che diventò portavoce del Berlusconi premier trionfante. Mentre pochi ricordano che Caligaris è stato uno dei soci fondatori del partito azzurro. Tessera numero tre. In quell’alba per così dire radiosa di molti lustri fa nello studio del notaio c’erano il futuro ministro degli Esteri Antonio Martino, il portavoce del capo Antonio Tajani e, naturalmente lui, Silvio allora soltanto un miliardario con l’incubo di finire in galera. Luigi era lì perché è stato un autentico liberale di stampo piemontese, e il liberalismo è stato il primo taxi su cui Berlusconi salì e da cui scese in corsa quando comprese che per salvarsi sarebbe stato più utile circondarsi degli uomini di Publitalia e ascoltare i consigli, davvero poco liberali, di certi ceffi chiamati uomini d’onore. Finché un giorno, come Caligaris ebbe a raccontarmi, chiese a Martino cosa stesse succedendo nel partito dove giravano quegli strani personaggi e troppi soldi. Quindi snocciolò nomi, fatti, circostanze ma l’altro ebbe un comportamento stupefacente: con le mani sulle orecchie per non ascoltare ciò che non poteva essere ascoltato, cominciò recitare in inglese i celebri versi di Rudyard Kipling: “Se tu puoi mantenere la calma quando tutti intorno a te la perdono…”. Nel gennaio ’97, insofferente ai collari, Caligaris abbandonò il gruppo di FI a Strasburgo. Il destino ha voluto che il generale dalla schiena dritta chiudesse gli occhi prima di assistere al definitivo tramonto politico, piuttosto umiliante, dell’uomo in cui aveva creduto. E che ieri abbiamo visto tirare la volata a Salvini, come un gregario qualsiasi.                                                                                                fonte Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano