L’avevo sognato qualche giorno prima di partire, avevo avuto un incubo terribile

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Mi sono svegliato e l’ho raccontato subito a mia moglie: c’era la pioggia, le luci dell’aereo che si spegnevano, la picchiata verso il suolo. Era tutto buio.
Mi sono portato quell’incubo dentro l’aereo, mi martellava la testa, non riuscivo a dimenticarlo, così decisi di mandare un sms a mia moglie direttamente da dentro. Le chiesi di pregare Dio per proteggermi da quel sogno. Poi partimmo. E le cose cominciarono ad accadere davvero.
Le luci si spensero, ero ancora sveglio, quello che successe va oltre la comprensione umana. Cominciai a pregare senza sosta, l’aereo stava cadendo veramente, chiesi un miracolo a Gesù, di aiutare me e miei compagni. Di aiutare il pilota, ma sapevo che salvarmi in una situazione del genere sarebbe stato impossibile, potevo soltanto pregare.

Quando mi sono svegliato all’ospedale non ricordavo nulla dell’incidente.
I dottori parlavano in spagnolo, ero confuso, poi ho visto il medico della Chapecoense e mi sono ricordato della finale che avremmo dovuto giocare. “Com’è andata?”, gli chiesi. Mi rispose che avevo rimediato un bruttissimo infortunio in un duro scontro di gioco. In quel momento mi disperai: pensai che i miei compagni fossero ancora in campo nel tentativo di conquistare il trofeo. I miei fratelli stavano lottando senza di me, non potevo crederci.
Non ero ancora lucido, un giorno mi svegliai nell’unità di terapia intensiva e iniziai a pormi delle domande. Osservavo il mio corpo, ero pieno di tagli, il mio orecchio era malconcio: o l’avversario che mi aveva messo ko era veramente grosso oppure i tifosi avevano invaso il campo e ci avevano aggredito.

Poi finalmente venni a conoscenza della tragedia. Nella stanza c’erano tutti i medici, la mia famiglia, uno psicologo, un prete. Mio padre mi domandò se ricordassi di quell’incubo fatto prima di partire.
Risposi di sì, naturalmente. Lo psicologo lasciò la camera piangendo, allora mi rivelarono tutto: il nostro aereo si era schiantato. Ho pensato a uno scherzo, poi mi sono fatto forza: se ero vivo io, allora anche i miei compagni stavano bene. Il dottore scosse la testa, mi disse che soltanto io, Alan e Follman eravamo rimasti in vita. Sono qui soltanto per merito di Dio”.

Le parole di Neto, difensore della Chapecoense e uno dei pochi superstiti sopravvissuti alla tragedia aerea del 28 novembre 2016.
Riposate in pace ragazzi.                                                                                                                                fonte calcio totale facebook