È stata una settimana caratterizzata dall’incertezza e dalla volatilità, in cui la direzionalità è stata quasi assente
I rendimenti hanno avuto una tendenza a salire nella prima parte della settimana senza particolari catalizzatori, salvo poi trovare sollievo nella pubblicazione dei dati di inflazione (il tanto atteso Pce, indicatore preferito dalla Fed) in USA, che confermando le aspettative hanno confortato il mercato sulle proprie previsioni delle future mosse della Fed (con il primo taglio che prende forma per giugno).
Meno bene è andata invece nell’Eurozona, dove l’inflazione a febbraio ha rallentato meno delle attese, supportando di fatto i membri del consiglio della Bce nella loro cautela, sempre dichiarata ultimamente, a correre ad abbassare i tassi. Questo ha confermato una tenuta relativa dei rendimenti dell’Eurozona rispetto agli omologhi americani: quello che lascia più perplessi è che l’euro non ne ha tratto beneficio, continuando a stazionare in area 1.08.
Evidentemente a guidare il cambio in questo momento sono le divergenze nelle attese di crescita dei due blocchi.
Anche per l’Eurozona il primo taglio dei tassi è previsto per giugno, con un outlook sul ritmo che rimane sostanzialmente invariato. Cominciano, tuttavia, ad arrivare i primi richiami a un allentamento più “rapido” della politica monetaria da parte dei politici, dal momento che diverse nazioni europee stanno sperimentando un rallentamento economico molto forte, con stagnazione e recessione che hanno già raggiunto alcune di esse.
Si chiede quindi un cambio di passo nel definire la traiettoria dei tassi. Una difficile situazione per la Bce che deve affrontare simultaneamente rallentamento economico e un percorso di rientro verso il 2% dell’inflazione che si fa sempre più incerto.
Gli elevati incrementi nei salari e in generale nel costo del lavoro rappresentano per la banca centrale la più grossa preoccupazione.
Ma questa debolezza economica non si riflette nel mercato del lavoro (tasso di disoccupazione sempre ai minimi), così come nei premi (spread) per le classi più rischiose del comparto obbligazionario, come investment grade e high yield. Gli spread in continua contrazione (su valori molto meno appetibili) sono tipici di uno scenario tutt’altro che recessivo, ma riflettono un generale ottimismo per la tenuta dell’economia.