L’individuo e lo smartphone

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Abbiamo la nostra propaggine in mano. E non è poco. Chiuse nell’area di un rettangolo – stondato, foderato, a volte turpemente agghindato – stanno le vite nostre. Lo smartphone le conserva e le racconta, ancor prima che si lascino scavare da solchi e creste di falangi.

Ancor prima di indovinare la fantasia di un pin, infatti, si incontra l’eloquentissima cover che, al modo di copertina libresca, rivela la trama di un mondo. Perché non c’è dubbio: la custodia glitterata è squinzia, quella griffata è pacchiana, semmai la nera è l’unica seria. Sia Ios o Android, fine o cafone, il telefono è tutto.

Ufficio, studio, piazza, mercato, cinema, bar, televisione, camera da letto, sala gioco, sonaglino degli infanti, pornoteca dei viziosi… Come rinunciare al telefonino? Perché disfarsi di questa prolunga vitale? Adesso che il telefono contiene tutte le variabili della legge morale (in barba a Kant, sempre più dentro di lui – sempre meno dentro di noi), adesso che è quasi a metà fra un orcio di Pandora e un’arca d’oro glitter, viene il dubbio che ci ritroviamo scissi anche noi.

Da una parte c’è l’uomo in carne e ossa; dall’altra, lì dentro, la sua leggenda: le sue contraddizioni, le sue ossessioni, le compulsioni, le dipendenze, le maldicenze… L’individuo – lo dice la parola – è uno e uno solo, sfacciatamente libero e indiviso. Ebbene, la meraviglia della libertà è assai difficile da carpire dinanzi a un baccalà piantato sullo schermo mentre cammina.

Vero è che senza smartphone, sarebbe scomoda questa vita, e tristanzuola. Sappiamo che Googlemaps è il sale del viandante. Sappiamo che relegare la mail a un vetusto PC significa costringersi alla scrivania. Che dire, poi, di Messenger e Whatsapp? Miracolose scialuppe per tutti i frettolosi gaffeur degli SMS, che ora possono finalmente ritirare il messaggio colposo (basta selezionare “annulla invio” e sperare che lo scafato destinatario non adocchi l’anteprima).

Per l’idillio instagrammiano, vale l’adagio di Hitchcock a proposito del cinema: il social network è la vita senza le parti noiose. Insomma, liberarsi di un telefono intelligente non sarebbe poi tanto saggio, a meno che non si opti per il romitaggio extramondano.

Lo smartphone è quanto mai potente, miniera di risposte, amico di chi vuole decifrare il mondo: in fondo, basta un click per emanciparsi dal sempliciotto che è in noi.

Eppure, si sa, il farmaco non prescinde dal veleno. Sovente accade che da fido consigliere e forziere di sogni, si trasformi in tossico abbagliante. In tal caso, poco aiuta il “filtro luce blu”: la dipendenza da display acceca meglio che un abbacinamento bizantino.

In quel rettangolo è stipata storia, utopia e ucronia di un solo uomo. Ogni elemento, lì dentro, è un pericoloso dettaglio. E se le cose stanno così, risulta assai faticoso staccargli gli occhi di dosso. Il telefono dell’uomo fa l’uomo suo. Individuo e smartphone sono avvinti, più che nel gioco di un valzer, in una spietata dialettica servo-padrone.

Tutto fila liscio fintanto che lo smartphone è recessivo: dovesse avere la meglio, addio sì cara libertà. Quando il pollice – stigma dell’uomo – si fa zerbino di uno schermino, lo slancio vitale rischia di uscirne spossato. Se a fronte di un lemma, un dubbio, un fatto nuovo, non si consulta Internet per fugare l’incertezza, darsi coraggio, e poi tornare a vivere, ma si ripara invece nel bettolio di Facebook, condonando la propria ignoranza, è evidente che l’individuo sta piegandosi.

Certamente Wikipedia non vale una pur umile biblioteca, ma avercela nel palmo di una mano può tornare necessaria: utile se non altro alla fiaba del quotidiano, così gremita di rompicapi. Smartphone vuol dire intelligente: è un dovere morale essere più intelligenti di lui, capire come funziona, come reagisce, come si usa.

E poi, finalmente, usarlo e non esserne usati. Altrimenti tutta l’energia si sciuperà nel vortice digitale, basterà così un smartphone perché ci sia tutto. E di quell’individuo, saggio e libero, non rimarrà che un lemure chattante.                                                                                                                                      (Ginevra Leganza)