LISTE A FERRAGOSTO, L’INCOGNITA DEL PARLAMENTO A 600, LE SPINE DEL ROSATELLUM

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La data del 25 settembre, indicata dal presidente Sergio Mattarella per lo svolgimento delle consultazioni popolari che rinnoveranno le composizioni di Camera e Senato, impone ai partiti di procedere e agire in base a una legge, ispirata dall’ex capogruppo del PD (oggi Italia viva) Ettore Rosato, che non ha dato buona prova di governabilità nella legislatura appena conclusa, e che dovrà confrontarsi con l’inedito scenario di un Parlamento ridotto a 600 eletti, 400 a Montecitorio e 200 a palazzo Madama

Era dal lontano 1919 che in Italia non si votava per una consultazione parlamentare: all’epoca, il solo ramo del Parlamento su cui i cittadini, aventi diritto al voto in base a criteri di genere (solo gli uomini) e censitari (secondo la condizione economica), si potevano esprimere, era la Camera, a fronte di un Senato di nomina regia. La pandemia da influenza spagnola era oramai un ricordo, e nel nostro Paese, a fronte di partiti di area laica, cattolica e liberale tacciati di trasformismo e inadeguatezza nell’azione di governo, stavano delineandosi per la prima volta fenomeni di populismo organizzato di estrema sinistra e di estrema destra.

Chiaramente, oggi molte analogie di allora sono non più replicabili in ragione di tutta una serie di circostanze interne e internazionali, ma aiutano a inquadrare i vari fattori in campo che hanno portato a tre crisi di governo in tre anni e alla convocazione dei comizi elettorali in una cornice macroeconomica segnata da alta inflazione (a due cifre oramai per molte merceologie), alti tassi, alta tensione internazionale tra una pandemia dai nuovi contorni e una guerra russa in Ucraina senza prospettiva di tregua (al netto della neo siglata intesa sul grano tra Mosca e Kiev a Istanbul).

Non è dato sapere se la reale intenzione dei più fosse quella di indurre veramente Draghi alle dimissioni. In considerazione del particolare momento anche stagionale e climatico, viene da pensare che non fosse questa la reale volontà, ma tant’è. Adesso chi vorrà presentarsi al giudizio degli Italiani con diritto di elettorato attivo, residenti sia in madrepatria che all’estero, sarà tenuto a seguire le procedure previste dalla legge detta Rosatellum e dai regolamenti attuativi della riforma costituzionale – approvata con il referendum confermativo popolare dell’autunno 2020 – che ha ridotto a 600 il totale dei parlamentari da eleggere tra i 400 alla Camera e i 200 al Senato, abbassando altresì a 18 anni di età la soglia anagrafica che dà diritto a votare per palazzo Madama.

Il Rosatellum trae il proprio nome da Ettore Rosato, attuale vicepresidente della Camera, che quando portò il testo in approvazione a fine 2017, era capogruppo del PD a trazione Renzi, con il quale sarebbe poi uscito dalla compagine democratica per fondare Italia viva.

Se sul piano politico il Rosatellum nacque, si dice, per arginare quella che allora era la prevedibile prevalenza del movimento cinque stelle e del centrodestra alle successive elezioni generali del 2018, sul terreno tecnico il disposto normativo si poneva come compromesso tra i sostenitori del maggioritario e i nostalgici del proporzionale.

Un compromesso purtroppo ribassista: va ricordato che l’ultima consultazione politica in cui fu possibile esprimere il voto di preferenza sulla scheda risale all’ultima legislatura della prima Repubblica, quella uscita dalle urne della primavera del 1992. Dal 1994 a oggi, sono mutati i sistemi elettorali – Mattarellum, “Porcellum” (legge Calderoli), Rosatellum – ma la quota di Parlamentari eleggibili con il criterio proporzionale si è consolidata su liste di tipo bloccato con ordine di elezione decrescente per i candidati scelti dai vertici dei partiti e delle coalizioni. Un sistema che raggiunse il proprio culmine alle politiche del 2006, 2008 e 2013, con 6 governi (da Prodi bis a Gentiloni) di cui 5 entrati in crisi per dinamiche varie.

Il Rosatellum si appresta quindi a contrassegnare la modalità di elezione del prossimo Parlamento al quale spetterà il compito di completare l’attuazione del recovery plan negoziato e avviato da Conte e proseguito in misura decisiva da Draghi, oltre che di mettere in sicurezza i numeri dello Stato con le prossime leggi di stabilità e di bilancio, nella cornice comunque fissata con il def, documento di economia e finanza, scritto dal ministro uscente Daniele Franco.

Sempre i futuri deputati e senatori dovranno ripartire dal decreto Aiuti del governo Draghi per stabilizzare gli interventi a sostegno di famiglie e imprese contro l’inflazione e la crisi dei mercati internazionali colpiti dal conflitto russo in Ucraina. Quello stesso decreto alla base della scelta di Conte, “orfano” di Di Maio, di non rinnovare la fiducia all’ex capo della BCE.

Gli eletti della seconda legislatura targata Rosatellum seguiranno un criterio di ripartizione che terrà conto della necessità di dedurre gli otto deputati e i quattro senatori assegnati alle circoscrizioni estere in base alla legge del compianto ex ministro per gli italiani nel Mondo, Mirko Tremaglia, la cui eiezione con preferenza compete ai nostri Connazionali iscritti nei registri AIRE o la cui Italianità sia stata anagraficamente accertata.

Quindi, i rimanenti 392 e 196 da eleggere a Montecitorio e a palazzo Madama saranno scelti per due terzi con metodo proporzionale, all’interno di collegi plurinominali, e per un terzo con voto maggioritario in collegi uninominali.

Che cosa comporta ciò all’atto pratico? Molto semplicemente, che i partiti dovranno strutturarsi in coalizioni più o meno ampie per cercare di prevalere nei collegi uninominali, dove la differenza potrà venire anche da un solo voto valido in più, mentre nei collegi plurinominali si innescherà una competizione, in senso proporzionalista, tra schieramenti diversi e – soprattutto di prassi – all’interno degli stessi per la contesa della leadership ai fini del possibile ottenimento dell’incarico di formare il prossimo Governo da parte di Mattarella.

Il capitolo delle coalizioni è fondamentale sia per la quota proporzionale che per quella maggioritaria: il Rosatellum prevede che potranno essere eletti, per i seggi assegnati proporzionalmente, i candidati appartenenti a partiti che abbiano superato la soglia del 3 o a coalizioni che abbiano superato la soglia del 10 per cento (in questo secondo caso, ai partiti che ne fanno parte basterà conseguire l’uno per cento delle preferenze).

Il Rosatellum non prevede in maniera formale l’assegnazione di un premio di maggioranza alla coalizione prevalente; di fatto, tuttavia, il premio può arrivare dal numero di collegi uninominali vinti da quella stessa coalizione.
La circostanza che non vi sia la previsione di un esplicito meccanismo di governabilità, fa sì che i partiti si aggreghino unicamente per superare la soglia del 3 o del 10 per cento, salvo poi cercare una volta in Parlamento gli accordi necessari a fare nascere una maggioranza governativa.

Gli studiosi del meccanismo di funzionamento del Rosatellum hanno evidenziato che, in linea applicativa, il premio di governabilità, per la coalizione prevalente, si consegue quando essa ottenga il 40 per cento sulla quota proporzionale e il 60 per cento dei seggi uninominali.
Nel 2018, la coalizione di centrodestra si fermò al 37 per cento dei consensi proporzionali, mentre in molti collegi uninominali si verificò la vittoria dei candidati grillini che si presentavano come terzo polo anti-sistema (salvo poi governare nei 4 anni successivi con tutti i partiti del sistema tranne fratelli d’Italia).

Adesso che i collegi uninominali sono tornati “contendibili”, e che i grillini si collocano in maniera conflittuale nel centrosinistra, mentre il terzo polo diventa quello dei centristi fedeli a Draghi che puntano – con Calenda, Renzi, Di Maio e il gruppo dei ministri ex Forza Italia – a conseguire un 20 per cento nella quota proporzionale, molti sondaggi indicano che la designazione del vincitore delle politiche di settembre potrà scaturire, in maniera indiretta, dalla ricomposizione o no del campo largo vagheggiato da Letta.

Bisogna infatti tenere conto che i vecchi ragionamenti non valgono più, calati nel perimetro del ridisegno di più ampie circoscrizioni che in molti casi raddoppiano l’estensione del collegio in cui ci si deve candidare, e che molto spesso unisce aree di diversa preferenza politico ideologica.

Entro il 14 agosto, termine massimo in cui dovranno essere depositati simboli, liste proporzionali, candidature uninominali, dichiarazioni di coalizione, programmi e indicazioni dei capi di coalizione, si saprà se gli scenari di questo nostro editoriale saranno stati più ipotetici o realistici.

Dir. politico Alessandro ZORGNIOTTI