L’ubriacatura del potere

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Due mandati, e perché non anche tre? Perché non trentatré? Dal ventre profondo della politica italiana sale un appello, un’istanza, un altolà: via il vincolo del doppio mandato per essere rieletti, anzi via ogni limite, che ciascuno governi vita natural durante, basta che sia d’accordo il popolo, d’altronde il popolo ha sempre ragione

Da qui la sentenza del governatore leghista del Veneto, Luca Zaia (peraltro in sella dal 2010, giacché nella sua Regione il divieto è scattato solo dopo): proibire la rieleggibilità «significa dare degli idioti agli elettori».

Questa patente d’idiozia viene condivisa sia a destra che a sinistra, per una volta unite nella lotta. Da Vincenzo De Luca, che presiede la Campania in nome del Pd, anche lui con due mandati sul groppone. Dai suoi colleghi di partito e di governo Emiliano (Puglia) e Giani (Toscana). Dalla stessa Conferenza delle Regioni, per bocca del suo presidente Fedriga, che a giugno ha inviato una nota ufficiale alla Premier e al ministro Calderoli. E ovviamente dai sindaci colpiti dal medesimo divieto; per esempio Bucci (Genova) e Brugnaro (Venezia) a destra, Nardella (Firenze) e De Caro (Bari) a sinistra.

È un’ingiustizia, dicono in coro tutti questi signori. Tanto più ingiusta adesso, perché la riforma più riformatrice non reca limiti per il presidente del Consiglio eletto. Potrà regnare 21 anni, come l’imperatore Adriano; oppure uno di meno, come Mussolini. Ma dipenderà solo dai voti, non dai veti del diritto.

Come succede quasi sempre, quando un’innovazione rafforza il potere dei potenti, questa richiesta si veste di nobili principi. Due, soprattutto: la sovranità popolare; la libertà del voto. Trascurando tuttavia che il popolo italiano esercita la sovranità «nei limiti della Costituzione» (articolo 1). E i limiti derivano dalla lezione della storia, che dovrebbe averci messo in guardia dalla democrazia plebiscitaria. A partire dal processo a Gesù, quando Ponzio Pilato chiede alla folla: «Chi volete libero, Barabba o Gesù?». E il popolo salva il primo, lasciando crocifiggere il secondo. Insomma, gli umori popolari talvolta vanno contrastati, e comunque sottoposti a un telaio di regole, di vincoli giuridici. L’elezione non è garanzia di santità. D’altronde pure Hitler, nel 1932, fu votato da 14 milioni di tedeschi. E come lui molti altri dittatori.

Quanto alla libertà del voto, è vero casomai il contrario. L’ha chiarito una volta per tutte la Consulta (sentenza n. 60 del 2023), annullando una legge della Sardegna che estendeva il limite a quattro mandati. Perché il divieto dopo due elezioni consecutive rappresenta «un temperamento di sistema rispetto all’elezione diretta dell’esecutivo e alla concentrazione del potere in capo a una sola persona che ne deriva». E perché quel limite tutela il diritto di voto dei cittadini, «impedendo la permanenza per periodi troppo lunghi nell’esercizio del potere di gestione degli enti locali, che possono dar luogo ad anomale espressioni di clientelismo».

Ma a quanto pare la politica italiana ha in odio le sentenze. Nonché le norme costituzionali, che vietano per esempio di rieleggere i membri del Csm e i giudici della Consulta. Così, l’anno scorso la legge n. 35 ha esteso da due a tre i mandati consecutivi per i sindaci dei comuni meno popolosi. Mentre in Parlamento pendono proposte ben più larghe, più generose. E mentre la madre di tutte le riforme brevetta un presidente eletto a tempo indeterminato, senza il vincolo del doppio mandato. Sarà l’unico caso, fra i 14 Paesi dell’Unione europea che hanno scelto l’elezione diretta. Ma noi, evidentemente, siamo un po’ speciali.

Fu un presidente speciale pure Roosevelt, che guidò gli Stati Uniti attraverso la crisi del 1929 e la guerra mondiale. Però gli americani, dopo le sue quattro presidenze consecutive (1933-1945), emendarono la propria Costituzione per non ripetere più quell’esperienza. Due mandati e basta, anche se alla fine della giostra sei popolare come Obama. Perché un potere prolungato t’ubriaca, ti priva di senso della misura e d’equilibrio. Ecco dunque la bevanda più indicata per i nostri governanti: la camomilla, non la grappa.

Michele Ainis