Malattie rare: la figura dell’internista, un punto di riferimento per i pazienti

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La dr.ssa Antonella Paradiso: “Al Sant’Eugenio partecipiamo ad uno studio che punta a diagnosticare la MPS I, e a breve la malattia di Fabry”

Roma – È lo specialista della complessità, il medico che spesso chiude il cerchio nei casi difficili: parliamo dell’internista, una figura cruciale anche nella diagnosi e nel trattamento delle malattie rare. A dimostrazione di ciò, la Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti (FADOI) fra i suoi progetti speciali ne ha attivato uno dedicato a queste patologie: a coordinarlo sono la dr.ssa Antonella Paradiso e il prof. Antonio Luca Brucato. La FADOI – circa 3.000 iscritti – per il prossimo triennio sarà guidata dal presidente nazionale Dario Manfellotto, primario della U.O.C. di Medicina Interna e direttore del Dipartimento delle Discipline Mediche dell’Ospedale Fatebenefratelli Isola Tiberina di Roma.

“La nostra società scientifica si è sempre impegnata nell’ambito delle malattie rare, che spesso sono patologie multisistemiche, con manifestazioni cliniche e decorso variabili, difficili da riconoscere e diagnosticare”, afferma la dr.ssa Paradiso, responsabile del Day Hospital presso l’UOC di Medicina Interna dell’Ospedale Sant’Eugenio di Roma, diretta dal dr. David Terracina. “Ecco perché l’internista è la figura ideale per gestire le malattie rare: osservando i pazienti nella loro interezza, può gestire la diagnosi, l’approccio terapeutico e il follow up. In mancanza di una cura – come spesso avviene nelle malattie rare – può indirizzare il paziente verso una terapia di supporto e coordinare un trattamento integrato con gli altri specialisti. L’internista è un po’ un regista, diciamo una ‘maglia numero 10’, e deve avere grande esperienza, curiosità e spirito investigativo”.

La FADOI agisce principalmente in tre ambiti: la ricerca (prevalentemente ricerca clinica, indagini epidemiologiche, studi osservazionali e screening, in collaborazione con centri specialistici di genetica e proteomica), la formazione e l’informazione. “Un tempo c’era solo una cosa più rara delle malattie rare: i medici che se ne occupavano”, prosegue la dr.ssa Paradiso. “I pazienti non sapevano cosa fare né a quale specialista rivolgersi, e i centri di riferimento erano pochi. Oggi non è più così: il nostro sistema sanitario nazionale, pur migliorabile, è uno dei più efficienti al mondo. Occorre, però, che il medico studi, si aggiorni e acquisisca tanta esperienza, che abbia cioè visto molti pazienti, per riconoscere le tantissime malattie rare che spesso occupavano solo poche righe sui testi universitari: per questo motivo il prof. Brucato, mio collega nel progetto Malattie Rare della FADOI e direttore di Medicina Interna al Fatebenefratelli di Milano, organizza spesso delle giornate formative dedicate ai giovani specializzandi”.

La dr.ssa Paradiso, invece, al Sant’Eugenio di Roma ha aderito in qualità di tutor al progetto multicentrico “Formazione sul campo MPS MULTICONNECTION”, che punta a diagnosticare una rara malattia da accumulo lisosomiale: la mucopolisaccaridosi di tipo I (MPS I). Un esempio concreto di ricerca clinica sul campo, che coinvolge un team multidisciplinare composto da internista, reumatologo, ortopedico, fisiatra, oculista, otorinolaringoiatra, pediatra, radiologo e cardiologo. Lo scopo è di aumentare la capacità di sospetto nei diversi specialisti che il paziente incontra nel suo percorso di cura.

Ognuno di questi specialisti, per un periodo di nove mesi, nella normale attività clinica di routine, osserva con particolare attenzione i pazienti al fine di riconoscere i cosiddetti red flags, per poi riferirli al gruppo che, in presenza di un caso sospetto di MPS I, può procedere con l’iter diagnostico e avere la conferma utilizzando il test DBS (dried blood spot), una tecnica che prevede il prelievo e l’analisi di una goccia di sangue essiccata su filtri di carta assorbente. Al momento non sono stati rilevati casi positivi: un fatto prevedibile, data la prevalenza della malattia, di un caso su 80.000-100.000 persone.

Come anticipa la dr.ssa Paradiso, la ricerca del Sant’Eugenio verrà presto estesa anche alla malattia di Fabry. “Una patologia lisosomiale molto più frequente della MPS I, che in recenti studi pilota di screening ha dato sorprendenti risultati con un’incidenza di 1 su 3.000 nati maschi. Per le sue caratteristiche di patologia evolutiva e multisistemica che, nell’adulto, provoca un coinvolgimento neurologico, renale e cardiologico, la Fabry si adatta perfettamente alle competenze degli internisti”.