Martedì 3 novembre

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Segnatelo sul calendario, quel giorno il mondo si volgerà all’America e saprà se i prossimi quattro anni vedranno alla Casa Bianca l’inquilino di ora o un democratico non più giovane e di lunga trafila.

Saranno forse le presidenziali più importanti degli ultimi decenni perché cadranno nel pieno di una pandemia che ha stravolto vite e sentimenti (oltre all’economia e ai debiti) dell’Occidente e perché dall’esito di quelle urne deriveranno conseguenze profonde per equilibri e assetti del multilateralismo oltre che delle relazioni atlantiche tra noi, intendo l’Europa, e gli Stati Uniti.

Tra quanti sanno comprendere e raccontare il peso di quella data c’è sicuramente Alberto Melloni che oggi dedica su Domani (pagina 10) un affresco puntuale alla prossima visita in Vaticano del segretario di Stato americano, Mike Pompeo.

La data prevista è il prossimo 29 settembre, ma l’articolo spiega bene cosa preceda e sovrintenda all’atterraggio romano del ministro degli esteri di Donald Trump.

Intanto la premessa: Pompeo ha fatto anticipare la visita da un articolo uscito su una rivista partigiana della destra di oltre oceano. In quelle righe ha aggredito senza fronzoli il Vaticano imputandogli l’attuale strategia diplomatica verso i cinesi (nel senso della Repubblica popolare e delle sue autorità).

La Casa Bianca non scorge in quella mossa una volontà distensiva (Melloni cita a riferimento l’Ostpolitik del cardinale Casaroli), ma una complicità di fatto (o almeno un cedimento) alle pratiche repressive del regime (contro donne musulmane, preti cattolici, sedi di culto protestanti).

Insomma l’accusa frontale è a una Chiesa di Roma dimentica del suo ruolo (secondo Pompeo) di difensore della libertà religiosa come primo dei diritti civili, e da lì l’invito pressante (Melloni ne parla come di una “irrituale prepotenza”) a rinfacciare ai cinesi le loro responsabilità.

La chiusa?

La chiusa è la parte più interessante perché spiega come il messaggio del segretario di Stato non sia rivolto al Papa, tantomeno a Pechino, quanto all’elettorato cattolico americano orfano di un testimonial meno improbabile del malcapitato Steve Bannon, caduto giustamente in disgrazia e amico del leghista che sventola rosari.

Tradotto, a ridosso del voto l’amministrazione in carica cerca di saldare il cattolicesimo conservatore alla destra evangelicale, e in questo contesto rientra pure la nomina probabile di un’antiabortista alla Corte Suprema.

Più prosaicamente la Casa Bianca ha bisogno di vestire i panni dell’antipapato (nel senso di Bergoglio) per compattare il voto cattolico reazionario di fronte a un candidato come Biden, a sua volta cattolico di matrice liberal.

Come dire (ma è una forzatura mia) che il ministro degli esteri di Trump arriva in Vaticano non per dialogare col Papa, ma per una tappa della campagna elettorale.

Forse anche questo è il segno (inquietante) dei tempi.

Grazie ad Alberto Melloni che ci aiuta a capire il mondo e buona giornata a voi.