Nei momenti di crisi sociale le classi dominanti utilizzano uno strumento potente

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il richiamo all’unità nazionale. Le dichiarazioni ufficiali diventano un susseguirsi di “Siamo tutti sulla stessa barca” richieste di “senso di responsabilità” ai lavoratori. Abbiamo visto sventolare tricolori, suonare l’inno nazionale a tutte le ore, ma poi i sacrifici li fanno i lavoratori e le classi popolari.
Mettere il conflitto capitale-lavoro al centro della propria azione politica significa anche respingere il nazionalismo sotto qualsiasi forma si presenti, evitando di cedere alla retorica dell’unità nazionale.
Sono italiani molti dei lavoratori che continuano a produrre, ma anche molti dei capitalisti che guadagnano sulla loro pelle, sono italiani molti dei medici che combattono in corsia, ma anche i titolari di cliniche private e così via. Il fatto che oggi il capitale assuma una forma sempre più transnazionale non muta la validità di questo concetto: la questione è la classe sociale non la nazionalità.
Italiani sono anche molti dei capitalisti che hanno investito sull’Unione Europea, sulla Nato come strumenti ideali per assicurare i loro profitti. Oggi che si conferma il volto imperialista della UE e della Nato, non dimentichiamo che l’Italia non è stata invasa dalla Nato o dall’Unione Europea, ma le classi dominanti italiane sono state e sono ancora- almeno in maggioranza – compartecipi di questi processi perchè vantaggiosi per loro a scapito delle classi popolari. Anche nell’opposizione alla UE e alla Nato è il fattore di classe quello dirimente, non l’ottica nazionale. Quando si confondono i piani il rischio di passare dall’altra parte anche inconsciamente, magari parlando di “invasori ed invasi” è dietro l’angolo. Specialmente in momenti come questo.

Alessandro Mustillo