Pd-M5S, perché un anno fa no e ora (forse) sì

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Luigi Di Maio

La domanda che moltissimi elettori e sostenitori del Pd si fanno in questi giorni è: ma perché i dirigenti che adesso parlano di un accordo di governo con il Movimento Cinque Stelle un anno fa lo rifiutarono con decisione? La questione naturalmente attraversa il corpo del Pd e persino le singole persone, lacerate dal dubbio se sia giusto, addirittura morale, ipotizzare un patto con chi ti ha vergognosamente definito “il partito di Bibbiano” (a dire la verità, negli ultimi giorni il copyright è stato acquistato dalla senatrice Bernini, Forza Italia, ma lasciamo stare).

Se ne discute, in questo mezzo agosto, fra amici, compagni, nelle famiglie. Discussioni meno laceranti dei tempi della Bolognina, più di quelle del “bacio del rospo” Dini.

Dunque, cos’è cambiato in un anno?

A mio parere – ma si rasenta l’oggettività- per prima cosa è cambiato il rapporto di forza fra i due partiti. Lo dimostra il sorpasso alle Europee. Ma la questione è più politica.

La sera del 4 marzo si vide il trionfo del M5S e la disfatta del Pd. Una trattativa, allora, si sarebbe conclusa con una resa a Grillo e Di Maio. I toni, gli argomenti, i programmi del Movimento risultarono al Pd inaccettabili: e non se ne fece niente, anche perché Di Maio aveva probabilmente già scelto Salvini come compagno di viaggio.

Ora, dopo il disastroso bilancio di quest’anno se vuole continuare a esistere (perché di questo si tratta) s’impone dunque al M5S una revisione totale della propria linea. Probabilmente anche un avvicendamento sostanziale del gruppo dirigente: forse è l’ora di facce nuove. Ne saranno capaci?

La seconda novità riguarda Salvini. Un anno fa è possibile che il Pd abbia sottovalutato il venire avanti di una nuova destra illiberale e a-democratica incarnata dal ministro dell’Interno. Ci si illuse forse che col 17% Salvini non avrebbe potuto muovere alla conquista del Paese, magari arginato da un M5S che invece veniva ogni giorno “mangiato” dalla Lega. Adesso l’uomo del Viminale ha pensato di prendersi il Paese: confondendo la popolarità con il consenso, ha ritenuto di disporre delle istituzioni con il 17%. E ha sbagliato. Ma la minaccia dei “pieni poteri”, oltre ad essere sintomo di un’autoesaltazione parossistica, è una reale minaccia alla democrazia.

Questi due – il fallimento del M5S e il pericolo di una presa del potere di Salvini – sono fatti nuovi. Che aprono uno spazio diverso all’iniziativa del Pd.

Il tentativo di mettere in piedi un governo serio con il M5S ha dalla sua dunque queste novità della situazione politica unitamente alla “voglia” del Movimento di chiudere un accordo (che questa “voglia” sia dettata da motivazioni private che riguardano le poltrone qui sinceramente non interessa). Circola addirittura la voce che qualche grillino auspicherebbe persino un accordo elettorale col Pd pur di battere Salvini, pensate un po’ a che punto sono arrivati alcuni di loro.

Servirebbe un’intesa con un programma molto forte, in discontinuità con le sciocchezze del “contratto”, e una compagine fortissima, un dream team in grado di risollevare il Paese e, anche, l’umore del popolo italiano.

Sarà possibile? E qui ci fermiamo, ché la risposta davvero soffia nel vento. Ma la discussione – ci permettiamo di dire – non può ignorare le novità del quadro politico, l’analisi reale della cose in fondo è sempre una buona bussola.                                                                                                                              fonte