Penso all’intelligenza, alla cultura, all’ironia, alla profondità e allo stesso tempo alla leggerezza di Enzo Jannacci

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che se n’è andato esattamente sette anni fa. E poi le metto a confronto con quello che ancora oggi – fra tanti contributi civili e costruttivi, intendiamoci – ho dovuto leggere su questa pagina. Avrebbe fatto una smorfia, Enzo. “Capiss no”, non capisco. Lui, milanese figlio del Sud come Beppe Viola, che amava il Milan con forza, passione e capacità di sorridere. E soprattutto non sapeva odiare
A chi mi segue con affetto, considerazione e curiosità vorrei fare una proposta (che ovviamente nasce dalla mia stima e dal mio amore disarmati nei confronti di Enzo, tanto amico da essere l’autore – come forse ricorderete – della sigla della mia “Quelli che il calcio”): ma che potrebbe anche essere un esercizio prezioso. Visto che questi sono momenti in cui cerchiamo tutti di rendere più utili le nostre giornate, perché non vi ritagliate qualche minuto e non cominciate a studiare questo maestro, questo poeta la cui miniera non è ancora stata esplorata come avrebbe meritato. Mi rivolgo, ovviamente, a coloro che non lo conoscono perfettamente, che si sono – legittimamente – fermati ai suoi successi più popolari, che forse non hanno capito le dimensioni del suo genio: naturalmente non a chi lo ama e lo apprezza già. Se volete vi tengo per mano, aiutandovi a ripercorre una carriera che non ha mai perso di vista il racconto senza fronzoli della vita vera (spesso declinato nella pietà verso gli ultimi, fossero povericristi, barboni o mariuoli da osteria: ma anche partigiani davanti al plotone d’esecuzione o artisti falliti)
Io ho avuto la fortuna e l’onore negli ultimi anni di curare assieme ad artisti incredibili le serate che la cara Silvia Reggiani, la sacerdotessa del suo ricordo, gli regalava (soprattutto in questo giorno e nel giorno del suo compleanno). Ogni volta mi stupivo nello scoprire io stesso pepite sempre più belle nel patrimonio che ci ha lasciato.
Di 400 canzoni ne ho scelta una che forse aiuta a capire. E’ “La fotografia” che per loro sfortuna non tutti conoscono e che Enzo ebbe il coraggio e la sfacciataggine di portare a Sanremo quasi trent’anni fa. E fu la prima che al festival trattò il tema della mafia, raccontando la morte di un ragazzino di tredici ammazzato perché, per colpe familiari, aveva visto quello che non doveva vedere.
Ecco Jannacci – Jannacci il “matto”, Jannacci che si agitava sul palco, Jannacci che sembrava facesse ridere, Jannacci che parlava alla Jannacci – era ANCHE questo. Soprattutto questo. E non vi nego che quando in quello stesso teatro quest’anno ho visto Paolino ho fatto molta fatica a trattenere le lacrime. Anzi, non le ho proprio trattenute
Se vedum dutùr

Marino Bartoletti