Perché gli italiani preferiscono il contante? Perchè conviene!

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La guerra al contante è una costante della politica economica in Italia: la si ritiene un’arma fondamentale contro l’evasione fiscale, rischiando però di dimenticare che il principale beneficiario del contante è la criminalità; e che è ancora il mezzo di pagamento preferito dai consumatori in tanti altri Paesi.

Segno che è la convenienza, più che l’evasione fiscale, la principale ragione della sua longevità, nonostante il proliferare di strumenti alternativi resi possibili dalla tecnologia. La proposta della Task force di eliminare le banconote da 500 e 200 euro, oltre alla difficoltà di sostituire i 324 miliardi in circolazione, renderebbe la vita un po’ più difficile ai piccoli evasori (quelli grandi usano altri metodi) e un po’ più oneroso il riciclaggio per la criminalità, ma avrebbe efficacia limitata.

Lo stesso vale per il limite legale: anche se fosse abbassato a 1.000 euro, dubito porterebbe una riduzione sostanziale di evasione e criminalità. Perché i limiti e i vincoli all’uso del contante non ne riducono la convenienza rispetto agli strumenti alternativi di pagamento.

Da una recente indagine Bce sulle abitudini di pagamento dei consumatori europei emerge infatti che i contanti, con il 79% delle transazioni, sono di gran lunga lo strumento preferito dai consumatori. La crisi da Covid ha senza dubbio ridotto questa percentuale, ma non scalfito il dominio della banconota.

In Italia la quota sale all’86%, vicina a quella di Spagna, Austria e Germania; la differenza si ha con i Paesi “nordici” come Finlandia e Olanda. Gli italiani, in media, fanno però molte più transazioni al giorno (2 rispetto alla media europea di 1,5, e solo 1,2 in Germania), di cui quelle con carte (0,3) sono in linea con la media in Europa.

Poiché in Italia il valore medio delle transazioni in contanti (14 euro) è simile a quello europeo, si deduce che il ricorso al contante da noi è anche conseguenza della maggiore numerosità delle transazioni, forse dovuta ad abitudini di spesa difficili da cambiare. Ma il dato importante è che in Europa il contante prevale per convenienza.

Per velocità, solo i sistemi contactless senza PIN (carte o cellulari) sono competitivi, ma richiederebbero una copertura totale del Paese di banda larga (fissa e wireless) per la quale serviranno anni e miliardi.

Ma, soprattutto, il contante è conveniente per i costi: consumatori e commercianti non percepiscono la tassa di signoraggio (l’utile sugli investimenti che la Banca Centrale fa con le risorse derivanti dall’emissione delle banconote, girato allo Stato), mentre vedono il costo, ancora troppo elevato, dei sistemi elettronici.

Che si usi una carta di qualsiasi tipo, un cellulare o un peer-to-peer, tutte le transazioni verranno inevitabilmente gestite da una infrastruttura tecnologica e liquidate tramite il sistema bancario. Gli investimenti richiesti dalle infrastrutture di pagamento (oltre a quelli necessari per la banda larga) ne limitano la convenienza rispetto al contante; ulteriormente ridotta dalle posizioni dominanti che si creano a causa delle ingenti economie di scala nel settore.

Lo dimostra la recedente condanna antitrust di Visa e Mastercard da parte della Corte Suprema inglese. E, da noi, i rischi di una fusione di Nexi con Sia, come ho già elencato su queste colonne. Solo una criptovaluta (di fatto un registro elettronico) emessa dalla Banca Centrale potrebbe recitare il de profundis per il contante.

Sarebbe sicura, trasparente e a costo zero anche per i micro pagamenti; alimentabile con un clic da un conto bancario, sarebbe più semplice che ritirare contante da un Atm. È la recente proposta di Paolo Savona (fatta però per altri fini); ed è anche l’intuizione alla base di Libra di Facebook. Ma sarebbe una minaccia mortale per le società nel segmento più redditizio e a forte crescita, e per il sistema bancario. Quindi, non si farà.                                                                                                                                  (Alessandro Penati – Affari & Finanza – la Repubblica)