Poste Italiane e il lato oscuro dell’avidità aziendale

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Precarietà vuol dire vivere in uno stato di costante incertezza economico sociale che abbraccia e cambia ogni aspetto dell’esistenza quotidiana, generando emozioni negative quali rabbia, angoscia, disperazione. Appare evidente come questo possa compromettere la possibilità di progettare un futuro. Ma significa anche maggiori profitti per le imprese, perché un lavoratore precario è un lavoratore fragile e ricattabile, propenso a rinunciare alle proprie legittime pretese nel timore di non essere riconfermato alla scadenza del contratto.

La più grande azienda pubblica del Paese, Poste Italiane, dichiara di promuovere uno «sviluppo sostenibile orientato al benessere dei dipendenti», però ogni anno assume migliaia di giovani precari usa e getta da destinare alle attività di smistamento e consegna della posta. Sono i cosiddetti CTD, coloro che vengono assunti con contratti a tempo determinato, costretti solitamente a spostarsi di centinaia di chilometri da dove risiedono e a farsi carico di spese di locazione non indifferenti, anche solo per brevi periodi. L’occasione di entrare a far parte della grande azienda, prospettata attraverso un’incessante campagna di propaganda, presto si riduce a fugace, e per di più illusoria, esperienza lavorativa. Può durare, infatti, sino a un massimo di dodici mesi.

Successivamente, la possibilità di ottenere il tanto declamato posto fisso ruota intorno a una procedura di stabilizzazione che si avvale di graduatoria. Formulata in base al numero di giorni di servizio prestati e aggiornata di regola senza tenere conto del diritto di precedenza. Così da favorire l’instaurarsi di logiche clientelari! Circa diecimila persone sono attualmente presenti in questa sorta di limbo senza speranza. La maggior parte si è vista scavalcare da colleghi che hanno avuto la “fortuna” di raggiungere il fatidico traguardo dei 365 giorni di durata contrattuale

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Poste Italiane ha assunto ben 90 mila lavoratori a tempo determinato dal 2017 a oggi. Provvedendo a stabilizzare a malapena 12.500 risorse nel medesimo periodo. Molte delle quali attraverso forme occupazionali flessibili che si traducono in salari bassi e situazioni di vita difficili. Basti pensare all’ampio ricorso al part time, soprattutto tra le lavoratrici femminili: non è una libera scelta, bensì il risultato di condizioni di lavoro sfavorevoli risultanti da un metodo di sviluppo orientato alla massimizzazione del profitto. Sono tantissimi, ma restano invisibili i precari delle Poste in quanto è necessario maturare almeno sei mesi di servizio per inseguire il sogno del posto fisso e, dunque, accedere alla graduatoria.