Ricolfi: “Perche la sinistra non sa più parlare al Paese

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Dotato di un notevole understatement, il politologo e sociologo torinese Luca Ricolfi, oltre l’apparenza e il tratto compassato, è un provocatore e un personaggio divisivo con le sue idee che non passano mai inosservate. Innovatore di schemi e parametri interpretativi. il presidente e responsabile scientifico della Fondazione David Hume ama mettere il dito nella piaga, sollevare le questioni più scomode, quelle a cui in pochi provano a dar risposta. Aveva fatto discutere con il recente La mutazione.

Come le idee di sinistra sono migrate a destra (Rizzoli), in cui cercava di spiegare i più inaspettati sconvolgimenti politici: ovvero come mai destra e sinistra si sono scambiate la base sociale e, mentre i più poveri e gli operai votano a destra, i più abbienti si volgono a sinistra. Adesso si avvicinano le elezioni europee. Ricolfi scende nuovamente in campo e ripropone questo excursus tra vecchie e nuove povertà (che uscirà a marzo) con una nuova e polemica introduzione, Un’altra sinistra è possibile?, in cui si rivolge direttamente ai riformisti italiani.

Professore, la sinistra è impegnata soprattutto nelle cosiddette “battaglie di civiltà”: unioni civili, eutanasia, liberalizzazione delle droghe, diritti Lgbtq+. La parola d’ordine è “inclusione”. Basta per convincere gli strati popolari a votarla?

«Ne dubito, se non altro perché fra le categorie di cui – in nome dell’accoglienza – si auspica l’inclusione vi sono anche gli immigrati irregolari, che ai ceti popolari creano almeno tre problemi: pressione al ribasso sui salari (il cosiddetto “dumping”), insicurezza nelle periferie, competizione nell’accesso al welfare, specie sanitario. È il caso di ricordare inoltre che il tasso di criminalità degli irregolari è di 20-30 volte maggiore di quello degli italiani, e che l’immigrazione irregolare è essenzialmente un costo, perché non paga né le tasse né i contributi. La sinistra ha tutto il diritto, anzi il dovere, di proporre soluzioni diverse da quelle della destra, ma non può ignorare o minimizzare il problema, almeno se vuole recuperare una parte del voto popolare».

Lei ha sempre considerato un suo punto di riferimento L’età dei diritti di Norberto Bobbio. Lo è ancora oggi?

«Sì, perché Bobbio istituisce una distinzione cruciale – oggi perlopiù ignorata – fra legittime aspirazioni e diritti in senso proprio. Oggi si tende a chiamare diritti, e a trattare come diritti naturali e universali, aspirazioni (ma talora Bobbio le chiama pretese) che non hanno ancora un riconoscimento giuridico che ne garantisce il godimento effettivo. È un punto molto importante, perché spiega due cose. Primo, come mai nel nostro sistema sociale sono così diffusi vittimismo, frustrazione, aggressività, rabbia. Secondo, come mai da decenni non si osservano più grandi movimenti sociali e grandi lotte, come quelle del ciclo 1967-1980».

MIRELLA SERRI