Smart working. Cgil, 8mln lavoratori coinvolti

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Durante il lockdown si stimano siano stati più di 8 milioni i lavoratori e le lavoratrici, che hanno svolto la loro attività da remoto; prima dell’emergenza sanitaria erano 500mila. E’ quanto emerge dalla prima indagine sullo smart working, promossa dall’Area politiche di genere della Cgil e realizzata con la Fondazione Di Vittorio,che è stata presentata questa mattina in una conferenza stampa sulla piattaforma del sindacato Collettiva.it.

L’indagine, condotta attraverso un questionario, ha coinvolto un campione di 6.170 persone, di cui la quasi totalità (94%) composta da dipendenti titolari di un contratto di lavoro a tempo indeterminato; di questi il 66% del settore privato e il 34% del settore pubblico.

La stragrande maggioranza di chi ha risposto al questionario ha dichiarato di essere “precipitato” nel lavoro smart nella fase di avvio delle misure di contenimento del virus; e, quindi, considerata l’emergenza in cui è precipitato il nostro Paese, “non è stato accompagnato da una adeguata riflessione sull’organizzazione del lavoro, sugli spazi, sul lavorare per obiettivi, in gruppo, né un’adeguata preparazione”.
Per Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, “lo smart working nella contrattazione non deve diventare una modalità di lavoro permanente” e va “regolamentato”. “Nel lavoro, le relazioni sono utili non soltanto sotto il profilo umano – ha detto nel suo intervento -, ma lo sono anche per il funzionamento della stessa impresa e la creatività”. Bisogna “fissare i limiti orari, giornalieri, settimanali”. Per il segretario generale della Cgil, il trattamento economico e normativo non deve essere inferiore a quello di chi svolge la stessa mansione nel luogo di lavoro; quindi, deve essere previsto il “diritto alla disconnessione” e “la dotazione tecnologica deve essere adeguata”.

Sotto il profilo di genere, lo studio rileva che lo smart working per le donne è una modalità di lavoro più pesante, complicata, alienante e stressante; mentre per gli uomini risulta essere “più stimolante e soddisfacente”. “E’ sbagliato pensare che lo smart working sia uno strumento di conciliazione o condivisione per il lavoro di cura della casa”, ha sottolineato Susanna Camusso, responsabile dell’Area Politiche di genere della Cgil. “La cura della casa – ha spiegato illustrando i dati -, non viene condivisa mai, raramente, solo a volte, per il 68,3% delle donne intervistate; va un po’ meglio per la cura dei figli, anche se il 46% del campione dice che non viene condivisa mai, raramente o a volte”.