Sono nato alle 7,05 del 30 ottobre 1960

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Col tono scherzoso di un medico che annunciava a mia madre: ‘signora questo bimbo è tutto culo e piedi’.
Sono cresciuto nelle favelas con le baracche fatte di assi e di lamiera e le strade di terra battuta con le fogne a cielo aperto, e il gas e l’elettricità lontani miraggi da conquistare con lotte di strada a cui partecipavano presto i bambini. Non vi era possibilità di scelta per i bambini poveri nei sobborghi di Buenos Aires: o la scuola o il lavoro o la criminalità.
La prima palla me l’ha regalata mio zio, a due anni, e me la portavo a letto tenendola abbracciata tutta la notte. Come papà ero tifoso del Boca, sognavo la Bombonera, inseguivo i miei sogni giocando ore e ore sul campetto spelacchiato della mia borgata e quando qualcuno mi chiedeva cosa avessi fatto da grande, io dicevo sempre: «Quiero ser campeon del mundo, con Argentina».

Ho avuto rapporti con mio padre fino alla sua morte nel 2015, anche se ero legato più a mamma: le raccontavo tutto, era la mia prima tifosa. Papà non aveva il tempo di fare il mio amico, se l’avesse fatto non avrebbe avuto il tempo di dormire dato che si alzava alle 4 del mattino per andare in fabbrica e tornava alle 5 del pomeriggio.
Il soprannome ‘Pibe de Oro’ è nato a Napoli, prima ero ‘El Pelusa’ per i folti capelli.
La droga è stata senza dubbio il problema più grande. La droga uccide, ho avuto una fortuna troppo grande ad essere qui a parlare ancora. A quest’età se avessi continuato sarei morto. Sono 13 anni che ho smesso. Ho provato per la prima volta la droga a 24 anni, ero a Barcellona. L’errore più grande della mia vita. Stavo per morire, allora avevo al mio fianco solo Dalma e Gianina, e mi chiedevano che vivessi solo per loro, Dio le ascoltò.

Che significa Napoli per me? È la mia casa.
Mi sono legato a Napoli per il calore che la città e la tifoseria mi hanno riconosciuto dal primo giorno che il mio nome è stato accostato alla squadra azzurra, tutti puntavano su di me e io non potevo deludere Napoli. Vi racconto un episodio. Ero a Barcellona nei giorni in cui stavo maturando il desiderio di cambiare aria e non potete capire quanti napoletani mi fermarono lungo le strade di Barcellona chiedendomi di vestire subito la maglia del Napoli. Fantastico. Furono quei gesti a farmi capire come sarebbe stato importante per me venire a Napoli.
Ci siamo tolti grandi soddisfazioni, abbiamo vinto tutti insieme. Ha vinto la città di Napoli.
Vorrei poter riavere 25 anni e tornare a giocare al calcio, se Dio mi desse questa possibilità sarei l’uomo più felice del mondo. Ma il tempo passa e allora mi diverto a giocare con mio figlio, mio nipote e i miei amici”.

Oggi è il giorno del Diez.
Oggi è il giorno del D10S.
59 anni di leggenda, tanti auguri Diego Armando Maradona.

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