Sposando il “meno tasse per tutti” la sinistra è sempre finita male

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C’è in Italia un partito dell’evasione fiscale. Un partito forte ed esteso, tutt’altro che in crisi. Che nel corso del tempo ha preso forme e articolazioni diverse, quasi sempre a destra, talvolta anche a sinistra dinanzi a leadership che la destra l’hanno presa a modello. Questo partito fluttua sinuosamente all’interno delle urne elettorali e fiuta come un segugio la locuzione-chiave: ‘meno tasse per tutti’. Gli imprenditori della politica, quelli che lavorano alla costruzione del consenso per il consenso, che cercano un posizionamento purchessia, a destra come a sinistra, ne fanno una loro bandiera. È sufficiente proclamare che lo Stato vessa i cittadini, che le tasse sono troppe e che c’è una sorta di taglieggiamento verso gli italiani ‘indifesi’, che i sondaggi iniziano a sorridere a vantaggio dei paladini del taglio delle imposte. La cifra di 120 miliardi di euro, stimata quale indicatore dell’evasione, è davvero mostruosa. È per questo che i 7 miliardi previsti dal governo nella manovra appaiono davvero una briciola, nell’incertezza del loro incasso effettivo. Ci vorrebbe, forse, il coraggio di dire che in Italia una vera lotta all’evasione non è mai stata intrapresa (se non da pochi benemeriti come il Ministro Visco) e che le forze politiche sono maggiormente interessate al consenso facile, piuttosto che all’equità. Almeno in questo destra e sinistra tendono a identificarsi.

Ci vorrebbe forse il coraggio di dire che lo Stato del Welfare non è più tra i nostri obiettivi, se non in forme sempre più scarnificate, in linea con l’evasione mostruosa che dicevamo. Ma dovrebbe esser chiaro che, senza equità, protezione sociale, livellamento progressivo delle ingiustizie, la conflittualità è destinata a crescere e prima ancora le stesse disuguaglianze. Fare a pezzi la società non aiuta. Frammentarne la consistenza è da folli. Il consenso ottenuto per queste vie è destinato a sbriciolare la base sociale su cui si erige la nostra convivenza civile. In assenza di uno Stato che protegge e si prende cura, milioni di figure sociali che vivono sulla pelle le disuguaglianze sono destinate a scivolare pian piano verso i principali nemici della democrazia, l’antipolitica e il sovversivismo. Vogliamo questo? Se non lo vogliamo si tratta di impugnare il bastone dell’equità, recuperando risorse in nero che oggi si dirigono verso i consumi individuali, piuttosto che entrare nel circuito virtuoso del welfare. A meno che non si ritenga che il mercato sia più importante di quanto lo Stato possa offrire (anche attivando meccanismi indiretti) per riequilibrare le ingiustizie e le iniquità, le cui dimensioni sono proporzionali alla delegittimazione della politica.

C’è un fenomeno sociale molto rilevante, che dovrebbe incutere terrore. Quello per cui il cittadino/lavoratore che paga le tasse spesso di trova a convivere sfacciatamente con quello che le elude o le evade con piena soddisfazione. Come credete che il primo possa reagire? Accrescendo la propria dose di legittimazione verso la politica? Oppure seguendo l’esempio (vincente) del secondo, che cambia automobile ogni anno mentre l’altro ne possiede una da dieci? Il meccanismo dell’invidia sociale è appena conseguente allo spettacolo manifesto dello scandalo legato all’evasione. Si tratta di un dispositivo che ingenera disaffezione verso la politica, e poi alimenta una vera crisi di legittimazione. Quanto ne può soffrire la sinistra? Tantissimo, se è vero che il suo corpo sociale è composto da ceto medio e da pagatori certi, che non mancano mai l’appuntamento con il fisco. Cosa resta oggi di quel corpo sociale, dopo decenni di tagli e di recrudescenza fiscale a senso unico? I meccanismi di funzionamento dello Stato, la fiscalità, l’equità sono i principali agenti della crisi della sinistra politica. La destra invece, da questi fenomeni ne trae auspicio e vantaggio. C’è un partito dell’evasione fiscale, ripetiamo, che vaga immemore da una sponda politica all’altra, alla sola ricerca di chi faccia sconti e consenta un accrescimento dei consumi individuali a danno della ricchezza sociale.

Ogni soldo tolto al fisco, difatti, è anche un impoverimento di questa ricchezza sociale, ogni euro di evasione fiscale va sempre a ingrossare la ricchezza privata e toglie servizi pubblici e sociali, gli unici capaci di garantire davvero le famiglie, ossia la base sociale della piramide. Per essere chiari: 50 euro in più in busta paga sono solo 50 euro in più; più asili nido oppure dei pronto soccorso più funzionanti sono invece un capitale sociale che solleva l’intera nazione da problemi assillanti. Cosa scegliamo? L’illusione del benessere individuale oppure una società che sia capace di proteggere collettivamente, che dia più sicurezze e più certezze a lavoratori e famiglie alle prese con i bambini piccoli, gli anziani malati, la disoccupazione, la qualità dello studio, i trasporti pubblici, le malattie, la sofferenza sociale in genere? Vogliamo qualche ricco in più, oppure una ricchezza che si estenda all’intero Paese in forme sociali e comunitarie? Secondo noi questo è il bivio. Un bivio che si ripresenta in ogni fase. E ogni qualvolta la sinistra si è fatta irretire dalle sirene del ‘meno tasse per tutti’ è finita male. Ogni volta, invece, che si è stati chiari e lapalissiani su quali siano i punti di forza sociali della nostra proposta politica, i cittadini sono stati pronti ad ascoltare, attendendo ovviamente che ne nascessero i fatti. Anche stavolta è così. A meno che non si ritenga che ceto medio e lavoratori in genere possano ancora resistere alla deligittimazione della politica, alla scelta furba dei bonus fiscali, dei condoni, dell’appiattimento della progressività fiscale, all’illusione di un nuovo benessere personale a colpi di 80 euro, all’idea che l’evasione sia uno strumento di consenso, e non la mina su cui lo Stato è paciosamente seduto.