“Stuprare la moglie non è violenza”: assurda motivazione d’una pm

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Sgomento, dolore, paura. E anche rabbia. Solitudine. Vergogna. Ogni volta che una donna viene offesa, violata, uccisa tutte le altre provano questi sentimenti.

Consapevoli di saperli condivisi, anche se a volte con imbarazzo, da buona parte degli uomini poiché le offese, le violenze, i reati non sono una questione di genere ma di tutti anche se molti hanno un’altra idea.

Poi invece accade che un pubblico ministero di Benevento si prenda la responsabilità di rinunciare a qualunque regola di comprensione e interpretazione di quello che è, da qualunque prospettiva lo si guardi, un reato grave. Destabilizzante. Violento. E sceglie, chiedendo alla Procura l’archiviazione del procedimento intentato da una moglie violata contro il marito, reo secondo la donna di comportamenti violenti, di produrre nell’istanza una serie di motivazioni legittime per sostenere la sua decisione. Ma che sorprendono. Che neanche un uomo. Già, perché il pm è una Pm, una donna: Flavia Felaco.
Vita in una casa famiglia

Che la vittima, difesa dall’avvocato Michele Sarno, sia stata costretta ad avere rapporti sessuali non voluti, che sia stata minacciata con un coltello alla gola davanti a testimoni, che a 38 anni abbia dovuto trovare rifugio e protezione con i due figli presso un centro antiviolenza, alla pm sembra secondario. Sostiene lei, dato che non c’è prova che quel marito sia violento, meglio avanzare dubbi sul possibile stupro, sulle minacce. Meglio archiviare.

Ecco la prosa della magistrata: “Appare arduo sostenere che sia provata la consapevolezza del marito della non consensualità al rapporto sessuale considerato anche comune negli uomini dover vincere quel minimo di resistenza che ogni donna, nel corso di una relazione stabile e duratura, nella stanchezza delle incombenze quotidiane, tende ad esercitare quando un marito tenta un approccio sessuale”. Il poverino, dopo aver portato il pane a casa, deve pure fare lo sforzo di convincere al sesso la recalcitrante consorte, stanca sì di incombenze familiari ma che sembra ignorare che le esigenze di un uomo, se esuberante ancora di più, vanno rispettate, comprese e soddisfatte.

E poi che cos’è se non uno scherzo il coltello puntato contro la gola di lei durante un pranzo tra amici (testimoni) mentre il tg dà conto dell’ennesimo femminicidio. Il coltello con cui stava tagliando il pane diventa un’arma mentre l’uomo dice “prima o poi anche io sarò menzionato dal telegiornale” per poi tornare subito dopo alla pagnotta. In fondo solo un’azione di cattivo gusto.
Al vaglio il “quantum probatorio”

A decidere sull’archiviazione sarà il Gip. Intanto il procuratore Aldo Policastro si è affrettato a precisare che si sta ancora lavorando sul ricorso della vittima e sulla richiesta di archiviazione avanzata dalla pm poiché non ricorrerebbe il ”quantum probatorio necessario a ritenere sussistenti gli elementi costitutivi dei reati contestati”. Solo una richiesta, dunque.

Su cui il procuratore ci tiene a ribadire che si procederà “fermo restando che è assolutamente estraneo alla prassi e agli orientamenti di tutto l’ufficio ogni e qualsiasi sottovalutazione del seppur minimo approccio costrittivo nei rapporti interpersonali tra uomo e donna e in generale in quelli che involgano la libertà in generale e quella sessuale in particolare”.

Ora, dando per scontato che il cammino della giustizia non possa avere come indicazioni condizionanti il sesso di chi deve valutare e decidere, è anche vero che quello che viene trasmessa dalle parole e dalla decisione della dottoressa Flavia Felaco, è una sensazione di mancanza di solidarietà di genere che verrebbe voglia di pensare possibile e non limitante quando ci si trova ad affrontare il dolore di una donna costretta ad abbandonare la sua casa e la sua vita per le voglie di un uomo. Si rischia di chiedere di non agire secondo giustizia? Assolutamente no. Ma qui stonano anche le ipotizzate giustificazioni del rifiuto della moglie scritte nella richiesta di archiviazione.

Marcella Ciarnelli