Trattativa e Riace: due sentenze che fanno a pugni con la coscienza civile

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C’è qualcosa che stride in due sentenze che a pochi giorni di distanza l’una dall’altra hanno dato esiti opposti.

In una si condannano i mafiosi per la trattativa mafia Stato, ma si assolvono i pezzi dello Stato che quella trattativa hanno condotto; nell’altra si condanna con una pena severissima, raddoppiando persino le richieste del Pubblico ministero il sindaco di un piccolo paesino (duemila anime) che ha cercato di dare aiuto a chi sulle sue coste arrivava in cerca di una vita migliore, vivibile.

Può essere che nell’impeto dell’impegno dell’affrontare la situazione, nella voglia di rendersi utile e di costruire una possibile accoglienza, il sindaco del piccolo paesino abbia commesso qualche irregolarità amministrativa, abbia “dribblato” alcuni lacci burocratici e per questo esistono eventuali sanzioni amministrative, ma da qui a trasformare quanto fatto da quel sindaco in abusi, illeciti gravi, abuso di potere, ricerca di consensi e contropartite politiche (in un paesino di duemila abitanti?) davvero ce ne corre.

Le sentenze della magistratura vanno sempre rispettate, ma capita che la loro scrittura strida quanto a volte un gesso sulla lavagna, faccia a pugni con la coscienza civile che con grande difficoltà ancora esiste nel nostro Paese.

Ci saranno altri gradi di giudizio e non si può che auspicare un ridimensionamento di quanto deliberato, in attesa di leggere le motivazioni che hanno portato a una condanna che in ogni caso appare assolutamente sproporzionata e sembra andare a colpire quello che è stato un esempio di tentativo di cambio di passo reale nell’accoglienza e nell’integrazione.

A uno sguardo immediato sembrerebbe che dia maggiore fastidio il tentativo di costruzione di un futuro per alcune decine di persone scappate da guerre e condizioni economiche impossibili che una trattativa spartitoria tra lo Stato e la più grande organizzazione criminale presente sul suo territorio: sarebbe senz’altro una lettura parziale e incompleta, ma l’impressione che sia ha nell’accostamento di queste due sentenze non può che essere questa e mentre richiama necessarie riflessioni suscita amarezza.

Colpisce quella che appare essere una sorta di accanimento contro un piccolo sindaco di un piccolo paesino che invece di costruire muri ha aperto le porte del suo borgo, il tutto mentre di un pluricondannato per reati ben più gravi, decaduto dal suo ruolo istituzionale, si parla come di un possibile prossimo inquilino del Quirinale.

Colpisce che ci sia oggi chi gongola di fronte a questa sentenza e attacca, rallegrandosi, il piccolo sindaco mentre dipinge come puro e immacolato chi pur assolto dall’ultima sentenza è già stato condannato con sentenza definitiva per contiguità con le organizzazioni mafiose.

Non vi è dubbio che la giustizia debba fare il suo corso, ma non si può sperare che però sia giusta, davvero.