Trump, Berlusconi e la capacità di spaccare una nazione in due

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Come in un gioco di porte scorrevoli che li accompagna da sempre, Donald Trump e Silvio Berlusconi sono entrati nella storia questa settimana. Il tycoon è diventato il primo ex presidente americano imputato in una corte federale. Berlusconi è deceduto lunedì scorso all’età di 86 anni. Il confronto tra i due leader politici abbonda nella stampa straniera.

La discesa in campo da imprenditori, i guai giudiziari, il culto della personalità, la demagogia, le gaffes, l’uso sprezzante dei media, i conflitti di interessi, i matrimoni e i tradimenti, l’aver diviso l’opinione pubblica lasciando un segno per generazioni a venire. Di fatto, ogni volta che Trump accusa i magistrati di “caccia alle streghe” e persecuzione a fini politici ritornano alla mente le parole di Berlusconi. Le inchieste penali che accerchiano Trump a poco più di un anno dalle presidenziali potrebbero pesare sulle sue chance di rielezione come accaduto con la condanna del tycoon italiano nel 2012 per frode fiscale. Berlusconi non poté candidarsi fino a quando non fu riabilitato cinque anni dopo. Berlusconi ha scritto il copione dell’ “uomo forte moderno”, dice Bloomberg. “

Addio all’uomo che ci ha dato Trump”, scrive Mattia Ferraresi sul New York Times. Non è la prima volta che il trumpismo e il berlusconismo sono accomunati. Basta risalire agli articoli del 2016 che spiegavano a un mondo esterrefatto come la vittoria del controverso costruttore americano avesse in Berlusconi un indiretto precursore. “Berlusconi era Trump prima di Trump”, scriveva Rachel Donadio sul The Atlantic nel 2019. Nonostante la profusione di editoriali, i due leader non erano poi così vicini. Gli unici asciutti commenti reciproci appaiono in interviste sporadiche. Trump, intervistato nel 2016 da Alan Friedman per un articolo per il Sunday Times pubblicato dal Corriere della Sera, disse di Berlusconi: “Non lo conosco personalmente ma so esattamente chi è e che cosa ha fatto. Senta, diciamo che in fondo siamo entrambi due uomini ricchi prestati alla politica”. Berlusconi, a una domanda del Corriere sulla vittoria di Trump, non si sprecò in complimenti.

Disse che c’erano “ovvi” punti in comune ma stigmatizzò di non essere l’interprete della destra bensì di “un centro liberale e popolare” dove erano confluiti i cattolici, i socialisti riformatori, e una “destra democratica e responsabile”. Al di là delle evidenti similitudini, a ben guardare Trump non è Berlusconi. Karl Marx disse che la storia si ripete, la prima volta come tragedia, la seconda come farsa. Il presidente americano è la voce di un decennio che la rivista Air Mail chiama “gli anni della rabbia”. Siamo lontani dal berlusconismo reaganiano e ottimista che infondeva fiducia negli italiani anche a costo di negare l’evidenza dei problemi. Trump vinse nel 2016 con un messaggio cupo e apocalittico che si è cristallizzato nell’assalto al Capitol del 6 gennaio 2021.

I moderati, che un tempo sceglievano partiti come Forza Italia, non hanno spazio nella destra di oggi dominata dalla retorica “Maga”, come viene chiamata la frangia suprematista e nazionalista che sostiene Trump sotto lo slogan “Make American Great Again”. Più vicino a Berlusconi è stato certamente George W. Bush, unico ex presidente americano ad aver lavorato con lui a dedicare un messaggio di condoglianze ai familiari e agli Italiani. Obama, di opposto schieramento politico, non gli ha mai perdonato la battuta dai toni razzisti di essere giovane, bello e “abbronzato”. “Silvio Berlusconi è stato un leader vibrante con una personalità ineguagliabile. Laura ed io siamo fortunati ad aver trascorso tanto tempo con lui durante la mia presidenza. Non c’era mai un momento noioso con Silvio”, ha scritto Bush in un messaggio.

Dopo che Berlusconi tornò al potere nel 2001, l’Europa era divisa sul partecipare alla guerra in Iraq contro Saddam Hussein. Ignorando le proteste di strada, nel 2003 Berlusconi acconsentì a mandare le truppe italiane per stabilizzare l’Iraq dopo l’invasione. La missione fu controversa e costò la vita a 32 Italiani. Da capo del governo, Berlusconi si recò negli Stati Uniti in visita, tra private e ufficiali, almeno 11 volte. Vent’anni dopo, il trumpismo è diventato l’antitesi di ogni forma di pacificazione sociale.

Gli americani sono divisi come mai dopo la Guerra Civile. Se Trump non dovesse vincere la nomination repubblicana, c’è sempre il governatore omofobo della Florida Ron Desantis che censura i libri scolastici. Gli altri candidati come l’ex governatore Chris Christie e l’ex vice presidente Mike Pence hanno provato a distanziarsi da Trump ma non sembrano al momento guadagnare consensi nei sondaggi. L’eredità politica di Berlusconi è in forse. Quella di Trump difficilmente sarà simile a chiunque lo abbia preceduto.

ANTONELLA CIANCIO