Un paese di complici

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Se un Paese si giudicasse per come reagisce a un dramma come quello di Giulia, l’Italia sarebbe complice del delitto. Non per ciò che dicono da giorni in tv e suoi giornali, ma perché dimostra spaccandosi in due curve di ultras anche di fronte alla morte in diretta di una donna, che siamo vittime dello stesso male dell’assassino: siamo social, violenti e tossici

Anche solo immaginare che quel dramma che abbiamo seguito dal momento della fuga fino al tragico ritrovamento del corpo della giovane Giulia Cecchettin nella gola fra il lago di Barcis e Piancavallo, a pochi tornanti di strada dalla diga del Vajont, possa risolversi in una sfida da talk show fra i fan della famiglia patriarcale e i cultori del killer della porta accanto significa partecipare alla violenza di cui Giulia è stata vittima. Significa ammettere di non avere più capacità né metodo per affrontare questioni complesse. Significa tirare la palla in tribuna e ammettere, pur senza dirlo, che presto il circolo cambierà città.

E che anche Giulia sarà morta due volte. Come le altre donne celebrate per qualche ora da opinionisti e sociologi e poi finite nel dimenticatoio collettivo del Paese senza memoria per eccellenza, quello che vive sulla mamma e poi arma la mano del papà. Quello che se vietano il cellulare a scuola, io per primo, grida a tutti che sono dei trogloditi, quello che se parte un ceffone per un voto basso a scuola agita la violenza familiare e invece difende la sentenza del Tar che promuove un asino bocciato, magari pure spocchioso, su richiesta dei genitori.

La storia di Giulia e Filippo ci dice solo una cosa. Che quei due vivevano in un Paese che si sveglia sempre il giorno dopo. E ci dice che lei poteva essere salvata. Se solo noi credessimo davvero alle cose che diciamo e sentiamo in queste circostanze. Dal no all’ultimo incontro fino alla ricerca dei sintomi. La verità è che ‘noi’, cioè i grandi, cioè la scuola, cioè lo Stato, cioè la famiglia parliamo fra noi. Mentre loro, la nostra generazione di domani non lo fa più con noi.

Per cui ci capita non solo di assistere all’ennesimo femminicidio sapendo bene che non sarà l’ultimo, ma anche di viverlo in diretta. Dalla fuga, alla morte, al ritrovamento del cadavere, alla latitanza fino al fermo dell’assassino. Chiamando social quello che invece è il loro mondo reale, chiamando reale la nostra verità

. Fino a litigare fra noi, violenti, per spiegare la violenza di Filippo. Senza accorgerci che è proiezione della nostra, cosi come di quella che permea ormai ogni aspetto della vita pubblica e privata dell’Italia 2.0. Quell’Italia colta di sorpresa, ma al tempo stesso sospettosa che qualcosa potesse andare storto. Quell’Italia sempre un passo indietro sulla verità. Come siamo un passo indietro da loro. I nostri figli.

di Tommaso Cerno – lidentita.it