Una grande chiamata per il nuovo campo progressista. Cominciamo noi

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Con il governo Draghi si è passati, nel sistema politico, da una guerra di posizione ad una guerra di movimento. La sinistra deve velocemente adeguare la sua strategia, perché in politica il tempo è tutto, o quasi.
Da alcuni settori non riconducibili al tardo blairismo si invoca la sinistra, e in particolare il Pd, a non concentrarsi sul tema delle alleanze, ma su quello dell’identità, da tempo perduta. Fanno specie, perché provengono da eminenti studiosi della storia della sinistra italiana e del PCI. Che dovrebbe aver insegnato che le due cose simul stabunt simul cadent.
Se il PCI è stato una giraffa (l’animale che non dovrebbe esistere e invece c’è, come ripeteva Togliatti), se è diventato un partito necessario alla nazione è perché, nei tornanti della storia, ha saputo coniugare le due facce della medaglia.
Pensiamo alla proposta di Gramsci, già nel 1924, della repubblica degli operai e dei contadini, come obiettivo intermedio verso la repubblica socialista, fondata sul fronte unico, in controtendenza rispetto alla scissione di Livorno.
Pensiamo alla democrazia progressiva del partito nuovo di Togliatti, possibile solo ed esclusivamente con l’unità delle forze popolari e antifasciste. La cui grandezza, è stato scritto, non stava nell’averla proposta, ma nell’averla mantenuta, quando, in piena guerra fredda, tutto andava in direzione contraria.
Pensiamo al compromesso storico, di fatto un aggiornamento di una strategia mai dismessa.
Pensiamo alla politica delle alleanze sociali tra la classe operaia e i ceti medi.
Il filo rosso che le lega è la loro antiteticità al massimalismo, sempre sotto traccia nella sinistra Italiana, che, al fondo, si poggia sulla presunzione di autosufficienza.
Ebbene: concentrarsi, qui e ora, sulla sola identità vuol dire ricadere nel massimalismo, sotto mentite spoglie. Se si crede ad una dissimulazione onesta, ovviamente.
La guerra di movimento, che vede destra e sinistra in pianura, impone l’allargamento del proprio campo.
Fuor di metafora l’imperativo è la costruzione di un nuovo campo progressista. Che se non si è fuori dalla realtà, se cioè si guarda alle cose come sono e non come si vorrebbe che fossero, non può e non deve escludere i 5 stelle, che, da tempo, non sono più quelli delle origini.
Come non apprezzare che stiano valutando di entrare, in Europa, nel gruppo dei Democratici e Socialisti?
Come non vedere che Conte si muoverà in questa direzione?
Come non valutare che questa evoluzione è il frutto di scelte politiche che si sono lasciate alle spalle l’errore da matita blu del 2018, quando si fece naufragare il tentativo di Fico di dar vita al governo PD, 5 stelle e LeU?
Nel campo progressista un ruolo potrebbe avere anche una componente di centro liberaldemocratico. Qui il problema è costituito dalla presenza di due personalità narcisistiche, che sono una pesante zavorra. Eraclito scrive che il carattere è il demone dell’uomo. Machiavelli, in pagine memorabili su Giulio II, ci insegna che il carattere può essere sia una risorsa che un fardello.
Tuttavia credo che dal basso, soprattutto dal mondo cattolico, possa nascere e svilupparsi una spinta alla formazione di un’area politica che può dare un apporto originale al campo progressista.
Al cui processo di costruzione manca l’innesco. È perspicuo che più la forza è grande e più l’innesco è potente. Mi auguro che le dimissioni di Zingaretti portino a questo esito.
Eppure anche noi come Articolo Uno possiamo e dobbiamo fare la nostra parte. Che non può limitarsi alla moral suasion, alla reiterata e sacrosanta sollecitazione al fratello maggiore di non stare fermo sulle gambe.
Anche noi dobbiamo muovere le nostre pedine sulla scacchiera.
Penso che a noi spetti l’iniziativa politica di aggregare tutti gli isolotti della sinistra riformista di governo, fuori dal PD, e che si riconoscono nella prospettiva del nuovo campo. Personalità, associazioni, gruppi organizzati…
Facciamola noi la chiamata a raccolta di questo mondo variegato e insieme decidiamo contenuti e forma organizzativa. E lì lanciamo la sfida. Anche per noi il tempo si è fatto breve.
Che possa essere la mossa del cavallo che smuove le acque? Perché no.