Università e ricerca, una luce nel buio di questo 2020

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Nel buio pesto del 2020, in una sorta di bilancio di fine anno, le poche luci presenti meritano di essere osservate con attenzione, apprezzate e valorizzate. E, se possibile, è necessario far sì che non si spengano e che possano essere da innesco per tutte quelle che non si sono mai accese o che si sono spente a causa della crisi pandemica.

Una delle luci indubbiamente accese di questo 2020 è il +6% di immatricolati nelle Università italiane, come mostrano i dati pubblicati dal Ministero qualche settimana fa. In mezzo a uno scenario cupo, fatto di crisi sociale ed economica, molti più giovani studenti e studentesse hanno deciso di intraprendere un percorso universitario. Da quest’ottima notizia sicuramente insperata fino a pochi mesi fa sorgono due interrogativi: quali siano i motivi di questa scelta e quali debbano essere le risposte di supporto alla stessa.

Credo che i motivi siano tendenzialmente di tre tipi.

Ha inciso sicuramente in modo importante, sia sul piano economico che su quello della fiducia dei giovani e delle loro famiglie, l’investimento per l’innalzamento della No-Tax Area a 20.000 euro ISEE e le risorse stanziate per la riduzione delle tasse universitarie fino ai 30.000 euro ISEE. Si tratta di un segnale importante e per nulla scontato: di fronte alla crisi del 2008 gli allora Governi di centro-destra decisero di fare cassa tagliando su scuola e università, mentre questa volta il Governo ha avuto il coraggio e il merito di muoversi in direzione nettamente contraria, con grande lungimiranza. Bisogna dirlo chiaramente: investire in istruzione, formazione e diritto allo studio serve, sempre.

È stata sicuramente importante la riscoperta della centralità della ricerca per il progresso e il benessere sociale: ci siamo riscoperti fragili di fronte a un mondo che ci eravamo illusi di poter governare a nostro piacimento. La consapevolezza di avere ancora un infinito bisogno di studiare quanto ci sta intorno, che sia per la ricerca di un vaccino o per comprendere al meglio l’assetto storico-sociale in cui viviamo, è un fattore che dona nuova centralità alla formazione universitaria.

Da ultimo, ma per nulla da sottovalutare, anche un fattore ‘negativo’: il mondo del lavoro che si apre di fronte a noi giovani in questa fase è quanto di più nero si possa immaginare. E allora non è da escludere che l’aumento delle immatricolazioni possa essere dovuto alla paura di tanti giovani di buttarsi con pochissimi strumenti a disposizione in un mondo del lavoro in tempesta. L’università, in questo, può essere il luogo dove trovare quegli strumenti e, al contempo, il luogo dove provare a far stemperare quella paura.

Per comprendere come supportare questo aumento di immatricolati e far sì che non rimanga un bagliore momentaneo è necessario anche soffermarsi ad osservare il profilo geografico ed economico di questo aumento.

Sul piano della diffusione geografica, i numeri mostrano un notevole aumento di iscritti soprattutto nelle Università del Sud e in Città di dimensioni medio-piccole.

Si tratta di un dato che è probabilmente frutto della difficoltà di sostenere ingenti costi per affrontare gli studi lontano da casa e che nasconde scelte forzate, ma che dall’altro sfata finalmente anni di narrazione sulla presunta necessità di smantellare i piccoli Atenei “perché sono troppi”. Abbiamo, al contrario, un disperato bisogno che questi Atenei continuino a garantire un presidio sociale, economico e culturale sul territorio. Non devono e non possono essere, però, Università di Serie B.

Di fronte a un’evidente maggiore ‘domanda’ di conoscenza, serve che lo Stato metta in campo un’’offerta’ di qualità omogenea. Per questo saranno centrali i fondi che arriveranno dal Recovery Fund: dobbiamo infrastrutturare l’Università italiana proprio dove si è negli ultimi anni mostrata più precaria e a rischio chiusura. A livello di stratificazione economica, dai primi dati forniti a ottobre dall’Associazione Nazionale degli Organismi per il Diritto allo Studio Universitario (ANDISU) appare speculare (+6%) l’aumento di studenti e studentesse che richiedono la borsa di studio.

Questo dato potrebbe sì essere spiegato dall’impoverimento della popolazione come conseguenza della crisi economica, ma d’altro canto rende palese la voglia di mobilità sociale che è presente in Italia. Coinvolgere nel circuito formativo giovani provenienti dalle fasce economicamente meno abbienti della popolazione può rappresentare una svolta per loro, per le loro famiglie e, più in generale, per ridurre la disparità sociale dei loro contesti di provenienza. Serve uno Stato all’altezza di questa aspirazione, che metta in campo molte più risorse per borse di studio e sostegno all’abitare.

Non è nulla di nuovo per la nostra tradizione politica e costituzionale, ma non c’è azione più rivoluzionaria che provare ogni giorno a dare corpo alle parole della nostra Costituzione: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

La ripartenza dell’Università in un contesto così tetro è importante non solo per le aspirazioni di studenti e studentesse, ma anche per il benessere delle famiglie e per lo sviluppo socio-economico dell’Italia. Rimuoviamo gli ostacoli personali e strutturali del nostro Paese e diamo una possibilità a tutte le energie vitali che animano i nostri giovani.