Venezia finirà sott’acqua?

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Le fotografie della città dei dogi allagata hanno girato il mondo. La recente alluvione ha rappresentato un fenomeno straordinario, ma l’innalzamento del livello medio del mare è una realtà e una tendenza in costante crescita. Venezia e altre città costiere italiane potrebbero un giorno finire sott’acqua?

L’acqua alta, così come la piazza San Marco e le gondole, fa parte del fascino di Venezia, ma la marea che ha colpito i giorni scorsi la città, provocando ingenti danni alle abitazioni e alle attività commerciali, è un fenomeno allarmante. Ancor più allarmanti sono i dati generali sull’innalzamento del livello del mare a causa del riscaldamento globale.

Non sembra esserci tregua per Venezia: stando alle previsioni per domenica 24 novembre, infatti, è previsto un altro picco a 140 centimetri. Sono numerose le zone critiche esposte al fenomeno delle alluvioni in Italia, che vede minacciate le sue coste, ma anche, come nel caso di Venezia, il suo patrimonio artistico. Quali sono gli scenari possibili per Venezia e le coste italiane in futuro? Sputnik Italia ne ha parlato con l’ingegnere Maurizio Ferla, responsabile del servizio Laguna – Dipartimento tutela acque interne e marine dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale).

— Ingegnere Ferla, cosa ci si deve aspettare a Venezia nei prossimi giorni?

— Questa mattina usciamo con delle previsioni, insieme al comune, di un picco di circa 140 centimetri per domenica mattina. Non è un evento catastrofico come la settimana scorsa, ma è comunque importate e sicuramente interessa gran parte della città. Ciò verrà verificato dalle previsioni dei prossimi giorni.

— Parliamo dei progetti come il Mose o Arno sicuro, che sono tutte delle opere costose non completate che durano da anni. Possiamo dire che il Mose è inutile o ha una qualche utilità?

— Il Mose è incompleto ed ovviamente prima lo completano è meglio sarà! Se la settimana scorsa fosse stato in perfetto esercizio, avrebbe evitato quel picco di marea e non avremmo avuto 190 ma 120, che sicuramente non è la stessa cosa.

— Secondo lei è reale il rischio che Venezia finisca sott’acqua o sono solo speculazioni sui cambiamenti climatici apportati dall’uomo?

— Il tema è sempre quello del rapporto di questa meravigliosa città con il mare. Noi osserviamo che questa tendenza negli ultimi cento anni è in crescita, ma soprattutto osserviamo che negli ultimi vent’anni questo tasso di crescita si è impennato. Tutto ciò è stato rilevato attraverso i dati e riguarda l’osservazione del passato, mentre per quello che riguarda il futuro dobbiamo affidarci agli esperti del cambiamento climatico: il quinto assessement report del panel internazionale 2013 dà scenari che variano da un minimo di 30 centimetri fino ad un metro a livello globale, quindi oceanico.
Venezia è nel mediterraneo, che essendo in collegamento con gli oceani tramite lo stretto di Gibilterra ed il canale di Suez ha una dinamica particolare, è una regione piccola rispetto alle masse oceaniche. Non c’è dubbio che quello che accadrà negli oceani avrà una ripercussione su Venezia, ma al momento di proiezioni affidabili sulle ripercussioni per l’area mediterranea ce ne sono poche. C’è una stima del Centro Euro-Mediterraneo per i Cambiamenti Climatici che dava almeno 10 centimetri da qui al 2050 per l’Adriatico. Se vogliamo rapportarlo all’operatività del Mose, rispetto a quello che abbiamo visto la settimana scorsa, dove se fosse stato in esercizio avrebbe dovuto operare per almeno 5 – 6 volte, con 10 centimetri in più avrebbe dovuto operare almeno il doppio, per circa 12 volte.

— Vista la tendenza e l’innalzamento del livello del mare, cosa si può fare?

— Da questo punto di vista le politiche europee e nazionali stanno lavorando su strategie generali di adattamento a questi fenomeni. Le aree costiere sono quelle più vulnerabili agli effetti dei cambiamenti climatici. Il tema va affrontato tenendo insieme sia gli aspetti strutturali per il rinforzo di opere che devono essere più efficienti, sia iniziando a ragionare in termini di resilienza e di cambio di destinazione. Nel caso di Venezia è tutto molto difficile, poiché si tratta di difendere un patrimonio storico ed artistico inestimabile. Sento parlare spesso di tecniche di rialzo del suolo, che non so quanto siano percorribili, ma vale comunque la pena di sperimentarle almeno gradualmente.

— Al di là di Venezia, ci sono altre zone in Italia che sono a rischio per il medesimo problema?
— Sicuramente tutto l’arco costiera nord adriatico, dal delta del Po fino alla foce dell’Isonzo, poco prima di Trieste. È un territorio pianeggiante a quota molto bassa, in alcune zone del territorio ci si trova al di sotto del livello medio del mare, in alcune zone anche a 3 – 4 metri sotto il livello del mare. Il tema della crescita del livello medio del mare e della forza di quelle che potranno essere le tempeste marine da qui a venti – trent’anni pone un problema di sicurezza delle difese costiere e pone anche un problema di sostenibilità delle attività che si svolgono in questa importante fascia costiera. Inoltre vi è anche un problema di adeguamento. Ciò riguarda anche tutte le zone pianeggianti del nostro territorio con 850 000 chilometri di costa, pensiamo quindi alla piana di Catania e la zona del versante ionico della Puglia, anch’essa molto bassa. Parliamo di tutti gli ecosistemi costieri, un patrimonio ambientale che rispetto ad uno scenario del genere sicuramente si trova minacciato.

— Lei quindi sul tema dei cambiamenti climatici si considera ottimista o condivide le versioni più catastrofiste?

— Non si tratta di essere ottimista o catastrofista, si tratta di saper leggere i numeri: gli scienziati ci dicono che negli ultimi cento anni la temperatura dell’atmosfera si è surriscaldata. Questo inevitabilmente comporta tutta una serie di conseguenze che noi vediamo sul livello medio del mare, altri lo vedono nelle frequenze delle tempeste. È un tema da prendere con molta serietà proprio perché i dati ci danno una serie di evidenze. Bisogna quindi prendere coscienza di una realtà e ragionare sulle misure che più efficacemente possano essere messe in pratica.