#Zangrillo e il virus che ‘non esiste più’: “Non mi rimangio nulla”

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“Ora accade quello che è accaduto un anno fa, con l’aggiunta che abbiamo un presidio fondamentale come i vaccini”

“Oggi è il 31 maggio 2020… Il virus, dal punto di vista clinico, non esiste più”. Il professo Alberto Zangrillo, direttore della Terapia intensiva del San Raffaele, un anno fa pronunciava una frase che ha scatenato polemiche e discussioni. “Non sono stato per nulla audace, ho semplicemente fotografato la realtà. Il clinico fotografa la realtà e se è bella si sente spinto a renderla pubblica. Non mi rimangio una virgola, quella frase è stata oggetto di speculazione da parte di tristi personaggi in cerca di una ribalta. Ho dato loro da mangiare per un anno. Ora accade quello che è accaduto un anno fa, con l’aggiunta che abbiamo un presidio fondamentale come i vaccini, Non dobbiamo dimenticarci una coa fondamentale: la cura sul territorio, Se ci chiudiamo in ospedale, abbiamo perso in partenza”, dice oggi Zangrillo a L’aria che tira.

Il 20 aprile” 2020 “dissi che dobbiamo imparare a convivere con il virus, non lo dico. Non sappiamo quanto i vaccini ci tuteleranno, auspichiamo tutti in grande misura. Ma siccome i virus circolano, bisogna identificarli nelle persone e bisogna curare i pazienti tempestivamente. Resto ottimista se diamo spazio alle misure che hanno reso grandioso il nostro sistema sanitario nel mondo. Ci siamo fatti del male da soli dipingendo un numero di morti superiore a quello di altri paesi che hanno semplicemente contato in modo diverso”, aggiunge,

Cosa succederà nei prossimi mesi? “Non so quello che accadrà tra 3 mesi. Dobbiamo lasciare poco spazio ai ‘frati indovini’ che sparano una cosa prima degli altri sperando che si riveli giusta. Qualcuno dice che arriveranno le varianti. Cosa facciamo? Ci chiudiamo nel fortino o sviluppiamo gli strumenti?

Abbiamo sviluppato strategie attendistiche su piani sbagliati, dobbiamo dare grande dignità di ruolo ai medici di medicina generale, che sono il fulcro del sistema sanitario. Il medico di medicina generale deve parlare con me, che sono in ospedale, dobbiamo scambiarci indicazioni. Molte persone hanno speso in tv il loro tempo mettendosi un camice in fretta per far vedere che parlavano da un ospedale…”, afferma ancora.

Zangrillo respinge etichette e collocazioni politiche: “So che se dovessi andare dalla dottoressa Gruber, avrei davanti un plotone di esecuzione. Io non sono né di destra, né di sinistra… Se dico che vado via dalla televisione riesco a stare via per 6-7 mesi, Curo i malati che arrivano anche dall’ospedale Sacco che altrimenti sarebbero deceduti. Fare il rianimatore significa curare le disfunzioni d’organo, curare i malati più gravi che altrimenti muoiono. Per fare il rianimatore bisogna essere molto umani”.

Capitolo mascherine: “Quando sono in montagna in mezzo ai boschi e vedo una persona con la mascherina penso che abbia una patologia psichiatrica” dice Zangrillo. “Convivere col virus significa avere rispetto e responsabilità nei confronti degli altri, ma vuol dire anche che ci sono migliaia di anziani terrorizzati, non escono di casa da 15 mesi. La mascherina si mette quando si entra in farmacia, in banca: ma se vedo una persona da sola sul Lungotevere alle 6 del mattina, mi viene da dire: ‘poverina’”, afferma.