Le imprese italiane sono tra le più tartassate d’Europa. Lo afferma l’ufficio studi della Cgia, secondo cui nel confronto con i principali Paesi Ue, la percentuale del gettito fiscale riconducibile alle aziende italiane sul totale nazionale è nettamente superiore, ad esempio, a quella tedesca, francese e spagnola
“Se nel 2020 da noi ha raggiunto il 13,5% (garantendo un gettito di 94,3 miliardi di euro) in Germania era al 10,7% (144, 8 miliardi di imposte versate), in Francia al 10,3% (108,4 miliardi versati) e in Spagna al 10,1% (41,7 miliardi di gettito). Rispetto alla media europea scontiamo oltre 2 punti percentuali in più”, scrive la Cgia.
Un ulteriore elemento che conferma l’elevato livello di tassazione sulle nostre imprese – prosegue la Cgia – emerge dal confronto delle principali aliquote che gravano sul reddito imponibile delle società. Se in Italia si attesta al 27,9%, tra i nostri principali competitor scorgiamo che in Francia è al 25,8% e in Spagna al 25%. Tra i big solo la Germania, pari al 29,8%, sconta un livello superiore al nostro. Rispetto alla media europea, in Italia l’aliquota è superiore di ben 6,7 punti.
Nel 2022, la pressione fiscale in Italia, data dal rapporto tra le entrate fiscali e il Pil – osserva la Cgia – ha raggiunto il 43,5%; un livello mai toccato in precedenza.
Per quel che riguarda la progressiva riduzione dell’evasione fiscale, secondo la Cgia, l’Italia ha imboccato la strada giusta: l’anno scorso l’erario ha incassato, rispetto al 2021, 68,9 miliardi in più di entrate tributarie e contributive, ha recuperato 20,2 miliardi di evasione e ha “bloccato” 9,5 miliardi di frodi. Questo maggior gettito, pertanto, ammonta complessivamente a 98,6 miliardi di euro. “Un importo – osserva l’associazione – che ha una dimensione leggermente inferiore alla stima dell’evasione fiscale e contributiva presente in Italia che, secondo le stime, ammonterebbe attorno ai 100 miliardi di euro”.
Una quota preponderante dei 68,9 miliardi incassati in più – sostiene la Cgia – sono riconducibili al buon andamento dell’economia verificatasi l’anno scorso che include un importo sicuramente contenuto ma ogni anno in costante aumento, ascrivibile agli effetti della compliance fiscale
“Se teniamo conto degli effetti riconducibili alla fatturazione elettronica, allo split payment e all’attività di controllo praticata dal fisco attraverso l’incrocio dei dati presenti nelle proprie banche dati – afferma l’ufficio studi – rispetto a qualche anno fa gli evasori hanno la vita più dura. Certo, non tutti. Chi è completamente sconosciuto al fisco continua imperterrito a farla franca, così come le organizzazioni criminali di stampo mafioso che sempre con maggior dedizione seguitano a coltivare i propri traffici illegali. Poco ‘sensibili’ alla fedeltà fiscale lo sono anche quelle multinazionali e i giganti del web che, in Italia, realizzano profitti miliardari, ma la stragrande maggioranza delle imposte le versano nei paesi a elevata fiscalità di vantaggio”.
In attesa di poter disporre di ulteriori informazioni sul testo approvato giovedì scorso dal governo Meloni, per l’Ufficio studi della Cgia “una riforma fiscale che abbia l’ambizione di definirsi tale deve, innanzitutto, indicare preventivamente quanto costa e dove si recuperano le coperture, dopodiché ha il compito di conseguire, in tempi ragionevolmente brevi, almeno altri tre obbiettivi: la riduzione del carico fiscale a famiglie e imprese; la semplificazione del rapporto tra il fisco e il contribuente; la riduzione dell’evasione e dell’elusione fiscale“.
“Il mancato raggiungimento di questi punti – osserva la Cgia -costituisce un serio pericolo che la stessa sia destinata a fallire o comunque non in grado di dare una seria risposta alle tante istanze sollevate dai contribuenti che da tempo chiedono un fisco più equo e meno complicato”.



