Ho sempre amato la Valle Maira per i suoi silenzi e per quell’orrido che la caratterizza. Per fortuna il turismo non ha ancora scoperto le meraviglie di un luogo che rimane quasi incontaminato. In uno dei comuni della vallata abitava don Giulio, quasi ottantenne, rimasto solo dopo la scomparsa della perpetua, sua sorella, avvenuta due anni prima. Arrivai nel primo pomeriggio nella casa parrocchiale con l’operatore, perché intendevo documentare come vivevano i preti nelle zone sperdute e prive di anime. Don Giulio ci aprì felice, senza sapere chi fossimo, e ci indicò la scala per raggiungere il tetto. A far cosa? Gli domandai. Ci aveva scambiati per i tecnici che aveva chiamato per riparare l’antenna. Quanto gli dissi i motivi della visita acconsentì a rilasciarmi l’intervista che, gli spiegai, aveva come tema la solitudine dei sacerdoti. Dopo le prime due domande don Giulio scoppiò in un pianto dirotto che
riprendemmo per un minuto per poi spegnere la telecamera. Il prete, pur con il conforto della religione, è pur sempre un uomo. E vivere in una borgata dove d’inverno ci abitano quattro persone anziane non è per nulla facile. La mattinata mi spiegò don Giulio
passa tra messe, preghiere e faccende di casa. Devo prepararmi il pranzo da solo da quando non ho più mia sorella ma il pomeriggio e la sera sono interminabili. Nessuno con cui parlare, nulla che possa cambiare il ritmo delle mie giornate. Almeno oggi posso piangere con voi. Non sapendo cosa dire chiesi a che punto della giornata arrivasse la tristezza. Forse era una domanda sciocca ma
l’anziano sacerdote mi sorprese. “Alle tre – mi rispose. – Inizio a star male a quell’ora, a sentirmi inutile e solo, e comincio a piangere”. Rimanemmo impietriti Bruno ed io senza parole. Tutto il viaggio di ritorno parlammo di don Giulio e dell’opportunità di trasmettere l’intervista. Decidemmo per il sì. Volevamo che si sapesse, come lo avevamo appreso noi, che per certi uomini soli la vita è durissima e la tristezza comincia alle tre.