Arthur, le aspettative della vita e Joker, l’oscurità dell’uomo

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La società che produce criminali. Un film che induce a profonde riflessioni.

È una scalinata angusta, impegnativa, dal gusto metropolitano: riduce l’uomo alla fatica e all’ingobbimento: viene arrampicata da un uomo che non percepisce più il dolore della modernità, perché la modernità lo ha tradito. Così si apre il film di Todd Phillips, con il Joker interpretato da un Joaquin Phoenix che riflette l’immagine di un individuo portato agli estremi dell’emarginazione. Ogni scalino rappresenta un sopruso subito, un fallimento collezionato.
Arthur Fleck è il Joker, non è mai stato altro, ha vissuto ai margini di una società che non lo ha mai accettato. Arthur annega nella psicosi e nell’annaspare nelle acque agitate tenta di aggrapparsi alla pietas dell’uomo, ma sistematicamente viene scansata la sua mano. Ogni azione tesa alla creazione di un mondo migliore, per quanto chimerica sia l’intenzione, viene frustrata dalla realtà sociale. Il capitalismo dell’economia e dei sentimenti ha sequestrato il cuore dell’uomo e richiede un riscatto salato: la vita. Arthur non comprende i compromessi che spingono gli individui ad accettare gli squilibri insiti nella società. L’emarginazione non è solo fisica, ma intellettuale. È una corsa all’oro, la vita che si contrappone alla morte. Riporre le proprie sicurezze nei confronti della madre non è come rivolgersi al successo della propria vita. Il Joker annaspa nella palude che lega la responsabilità alla follia che lo caratterizza. Il Clown più che una vittima della società ne è un prodotto. Quando una forza comprime tutti gli spazi, ciò che è flessibile si piega e crea un contraccolpo per nulla calcolabile.
Nel momento in cui si perde tutto, la strada è un baratro. E allora quella scalinata verticale cambia verso e diventa una discesa nel recesso più cupo dell’anima umana. Arthur perde il lavoro, interrompe la terapia a base di psicofarmaci, si lancia nel cabaret con penosa ingenuità. Dopo aver, per difesa, ucciso tre rampolli dell’alta società corre scoordinato, come i suoi intenti, verso un luogo sicuro. Un tetro bagno pubblico, in cui improvvisa un balletto da captatio benevolentiae nei confronti di un’audience immaginaria, capace di accettarlo e comprenderlo. La critica alla società è scansata a favore di una disperata richiesta d’aiuto. L’egocentrismo non permette ad Arthur di andare oltre alla propria sofferenza. D’altra parte, il tentativo di avvicinarsi al presunto padre, il candidato sindaco di Gotham Thomas Wayne, personaggio antitesi della cittadinanza dolente, non nasce dalla volontà, pur contraddittoria, di avversare un sistema sociale che non funziona, ma dall’aspirazione malcelata di trovare una casa sicura entro cui poter sentirsi amato. Costi quel che costi, specchiandosi nel piccolo Bruce in quel sorriso artificiale malinconico e tremendo. La scoperta delle proprie reali origini, della propria adozione e dei maltrattamenti subiti in giovinezza crea uno squarcio nel velo, che è sia sipario che tappeto nascondiglio di polvere. Tutto crolla, scendere le scale libera dai fardelli del quotidiano sociale, ma tracciano un percorso altrettanto impervio.
L’escalation tratteggiata dalla banalità della sofferenza, più che del male, culmina in un acme dai contorni angoscianti. Una fuga tra i rivoltosi, singoli individui disperati che trovano in comune con Joker la potenza dell’afflizione e della sconfitta personale, un omicidio simbolico e un balletto tra le macerie di una città senza futuro concludono il viaggio all’interno dell’oscurità dell’Uomo. È un’esperienza che indaga le contraddizioni della società, ma soprattutto le contraddizioni dell’uomo all’interno di essa. Arthur prima che essere simbolo autoreferenziale del fallimento dell’anima, è un uomo che non riesce ad emergere nella quotidianità umana. La risata piangente che lo caratterizza ci restituisce l’immagine di una vita che non è all’altezza di se stessa e delle aspettative che nutriamo in essa. Siamo tutti irredenti, ricchi e poveri, buoni e cattivi. Chi se ne rende conto è un pazzo che si pittura per diventare simbolo dell’assurdità.

PS: Tra i tanti riconoscimenti, questo film ha ottenuto 11 candidature agli Oscar, è stato premiato al Festival di Venezia, ha vinto 2 Golden Globes, ha 10 candidature Bafta, vinto 2 Critics Choise Award, un premio Sag Awards, premiato a Afi Awards; ha incassato oltre 29 milioni di euro.

Federico Sanna Notizie in un click